La movimentazione manuale dei carichi

Le affezioni cronico-degenerative della colonna vertebrale sono di assai frequente riscontro presso collettività lavorative dell’agricoltura, dell'industria e del terziario. Esse, sotto il profilo della molteplicità delle sofferenze e dei costi economici e sociali indotti (assenze per malattia, cure, cambiamenti di lavoro, invalidità) rappresentano uno dei principali problemi sanitari nel mondo del lavoro.

Il National Institute of Occupational Safety and Health (NIOSH - USA) pone tali patologie al secondo posto nella lista dei dieci problemi di salute più rilevanti nei luoghi di lavoro.

Negli Stati Uniti il low-back pain determina una media di 28,6 giorni di assenza per malattia ogni 100 lavoratori; le patologie del rachide sono la principale causa di limitazione lavorativa nelle persone con meno di 45 anni e gli indennizzi per patologie professionali della colonna assorbono il 33% dei costi totali di indennizzo. È stato stimato che, per tali affezioni, i settori produttivi dell'industria statunitense spendono ogni anno una somma di circa 20.000 miliardi di lire italiane per trattamenti e compensi assicurativi.

Nei Paesi Scandinavi la media di giorni di assenza per low-back pain è di 36 per 100 lavoratori ed il 25% delle pensioni per invalidità lavorativa sono dovute a spondiloartropatie croniche lombari.

In Gran Bretagna si registra una media di 32,6 giorni di malattia per low-back pain ogni 100 lavoratori: fra questi il 4% cambia ogni anno lavoro per patologie della colonna vertebrale.

In Italia, le sindromi artrosiche sono, secondo ripetute indagini ISTAT sullo stato di salute della popolazione, le affezioni croniche di gran lunga più diffuse.

D’altro lato, le affezioni acute dell’apparato locomotore sono al secondo posto (dopo le affezioni delle vie respiratorie comprendenti anche le sindromi influenzali) nella prevalenza puntuale di patologie acute accusate dagli italiani.

Ancora in Italia, le sindromi artrosiche sono al secondo posto tra le cause di invalidità civile. Secondo stime provenienti dagli Istituti di Medicina del Lavoro, le patologie croniche del rachide sono la prima ragione nelle richieste di parziale non idoneità al lavoro specifico. Tra gli infortuni sul lavoro, la lesione da sforzo, che nel 60-70% dei casi è rappresentata da una lombalgia acuta, non fa registrare alcun trend negativo nonostante vi siano ampi fenomeni di sottostima per via di omesse registrazioni.

Gran parte delle affezioni qui citate, trovano in specifiche condizioni lavorative un preciso ruolo causale o concausale. In particolare in letteratura è ormai consolidato il rapporto esistente tra attività di movimentazione manuale di carichi ed incremento del rischio di contrarre affezioni acute e croniche dell'apparato locomotore ed in particolare del rachide lombare.

Questa constatazione ha spinto alcuni paesi occidentali ad emanare specifiche normative e standard rivolti a limitare l’impiego della forza manuale nello svolgimento delle attività lavorative; sono di rilievo in tal senso la guida dello statunitense NIOSH (1981) per il sollevamento dei carichi e la legislazione svedese (1984) sull'argomento.

L'esperienza italiana dei servizi di medicina del lavoro sulla materia si è sviluppata a partire dalla metà degli anni '80 ed è stata in grado di dimostrare l’esistenza di specifici rischi lavorativi in diversi contesti in cui vi è un largo ricorso alla forza manuale: addetti all'edilizia, operatori mortuari, addetti all'industria ceramica, cavatori, operatori ospedalieri, addetti ad operazioni di facchinaggio, sono tutte categorie in cui è stato possibile dimostrare un eccesso di patologie riconducibili alla concreta condizione lavorativa.

Commenti

INFOTEL ha detto…
Va registrata una relativa povertà della preesistente normativa italiana sulla materia.

Una antica legge, la n. 635 del 1934, determina in 20 kg il peso massimo sollevabile dalle donne adulte.

La legge 1204/71 sulla tutela delle lavoratrici madri stabilisce che le donne in gestazione e fino a sette mesi dopo il parto non devono essere adibite al trasporto e sollevamento di pesi.

La legge 977/67 relativa al lavoro dei fanciulli (minori di 15 anni) e degli adolescenti (minori di 18 anni) determina (seppure con riferimento al lavoro agricolo) i pesi massimi trasferibili dagli stessi differenziando per sesso (fanciulli M = 10 Kg - F = 5 kg, adolescenti M = 20 kg - F = 15 kg).

Questi richiami, come si vedrà, risultano ancora oggi utili a determinare le condizioni di accettabilità in funzione delle specifiche caratteristiche individuali, quali il sesso e l’età dei lavoratori coinvolti in attività di movimentazione manuale.
INFOTEL ha detto…
IL TITOLO V DEL D.Lgs 626/94



In tale Titolo, con tre articoli (n. 47, 48, 49) ed un allegato (allegato VI) viene recepita la direttiva comunitaria n. 269/90 in modo sostanzialmente immodificato sia pure in un quadro di congruenze con l’intero testo del decreto. Con riferimento al testo dei tre articoli in questione valgono le seguenti note e considerazioni.



a) L’articolo 47, che definisce il campo di applicazione, chiarisce in particolare che cosa si intende per azioni od operazioni di movimentazione manuale di carichi, ricomprendendo fra esse non solo quelle più tipiche di sollevamento, ma anche quelle, rilevanti, di spinta, traino e trasporto di carichi che “in conseguenza di condizioni ergonomiche sfavorevoli comportano, tra l’altro, rischi di lesioni dorso-lombari”. Si noti che il significato dell’inciso “tra l‘altro” è ovvio: nella movimentazione manuale di carichi vi sono altri tipi di rischio quali quelli di infortunio o per altri segmenti dell’apparato locomotore diversi dal rachide dorso-lombare (es. cumulative trauma disorders del tratto cervicale e degli arti superiori) o ancora per altri apparati (es. cardiovascolare) che pur non essendo l’oggetto principale dell’attenzione del Titolo V, andranno comunque considerati sulla scorta delle indicazioni dello stesso D.Lgs 626/94 e di altre norme di carattere generale o particolare.



b) L’articolo 48 identifica gli obblighi specifici del datore di lavoro delineando una precisa strategia di azioni. Tale strategia, riassunta nello schema di flusso più avanti proposto, prevede nell’ordine di priorità:



1. l’individuazione dei compiti che comportano una movimentazione manuale potenzialmente a rischio (presenza di uno o più degli elementi di rischio riportati nell’allegato VI);

2. la meccanizzazione dei processi in cui vi sia movimentazione di carichi per eliminare il rischio;

3. laddove ciò non sia possibile, l’ausiliazione degli stessi processi e/o l’adozione di adeguate misure organizzative per il massimo contenimento del rischio;

4. l’uso condizionato della forza manuale. In quest’ultimo caso si tratta prima di valutare l’esistenza e l’entità del rischio e di adottare le eventuali misure per il suo contenimento tenendo conto di quanto riportato nell’allegato VI;

5. la sorveglianza sanitaria (accertamenti sanitari preventivi e periodici) dei lavoratori addetti ad attività di movimentazione manuale;

6. l’informazione e la formazione (art. 49) degli stessi lavoratori che, per alcuni versi, si struttura come un vero e proprio training di addestramento al corretto svolgimento delle specifiche manovre di movimentazione manuale, previste dal compito lavorativo.



Di grande interesse è, per altro verso, l’esame dell’allegato VI.

Esso infatti fornisce un’ampia lista dei diversi elementi lavorativi ed individuali che, se presenti, da soli o in modo reciprocamente interrelato, comportano un rischio più o meno elevato per il rachide dorso-lombare.

Di tali elementi, fra loro integrati, va tenuto in debito conto tanto in fase di valutazione preliminare del rischio quanto in fase di verifica dell’adeguatezza dei provvedimenti adottati per il contenimento del rischio medesimo.

L’allegato è il frutto dell’accorpamento dei due allegati originari alla direttiva CEE 269/90 dedicati rispettivamente ai fattori lavorativi e ai fattori individuali di rischio.

Il testo è rimasto immodificato fatto salvo l’inserimento di una specifica quantitativa (30 kg) posta tra parentesi dopo l’espressione “la movimentazione manuale di un carico può costituire un rischio tra l’altro dorso-lombare nei casi seguenti: il carico è troppo pesante”.



Tale specifica quantitativa merita alcune notazioni:



a) sotto il profilo letterale con essa si afferma soltanto che il peso di un carico va considerato troppo pesante solo se è pari o superiore a 30 Kg: pertanto una condizione di rischio per il rachide dorso lombare sussiste, anche se gli altri elementi e fattori riportati nell'allegato sono del tutto ininfluenti, quando il carico ha un peso di 30 Kg o più. In tale caso scattano comunque gli obblighi determinati dall'art. 48.

Tale interpretazione peraltro deriva da una lettura del punto 6 della circolare n. 73/97 del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale. In essa si afferma: "...tale allegato (il VI) prevede in particolare i casi (ndr: si badi bene i casi e non il caso) in cui la movimentazione manuale può comportare i rischi, le lesioni dorso-lombari. Tra questi casi è previsto quello dei carichi "troppo pesanti" esplicitati con l'indicazione numerica di 30 Kg. Appare evidente che tale riferimento non introduce un divieto di movimentazione manuale dei carichi superiori a 30 Kg, bensì, semplicemente, una soglia a partire dalla quale il datore di lavoro deve adottare comunque misure organizzative o mezzi adeguati per ridurre i rischi di lesione dorso-lombare e deve sottoporre i lavoratori alla sorveglianza sanitaria di cui all'art. 16....".

La Circolare ministeriale in altri termini chiarisce che tutti gli obblighi di prevenzione primaria e di sorveglianza sanitaria scattano anche quando si è in presenza del solo fattore di rischio "carico troppo pesante" (> 30 Kg), essendo ininfluenti gli altri fattori richiamati dall'allegato. In modo implicito questa circolare ribadisce che laddove il carico sia di peso inferiore ai 30 Kg va condotta una più analitica valutazione del rischio tenendo conto di tutti gli elementi citati nell'allegato VI; tale valutazione dovrà peraltro condurre a evidenziare eventuali interventi tesi a rendere la movimentazione manuale "più sicura e sana" nonché ad individuare i soggetti obbligatoriamente da sottoporre alla specifica sorveglianza sanitaria.



b) Appare ingenuo pensare che possa esistere una sorta di peso limite eguale (in questo caso 30 kg) per i diversi tipi di azioni di movimentazione manuale. Ciò che è possibile fare in condizioni di impegno accettabile è ben diverso infatti a seconda che si esegua una azione di sollevamento, piuttosto che di trasporto in piano o addirittura di traino o spinta. Il valore di 30 kg pertanto, va riferito ad azioni di sollevamento perché per altri generi di azioni (es. spinta di carico su carrello manuale) lo stesso peso di 30 kg risulterebbe addirittura ridicolo.



c) Sul piano più generale l’esistenza di un sovraccarico per il rachide dorso-lombare va valutata tenendo conto del complesso dei diversi elementi di rischio lavorativo riportati nell’allegato: allo scopo sono utili modelli di valutazione del rischio che, parametrando i principali elementi, portino a definire, per ogni scenario lavorativo dato, qual è il massimo peso del carico movimentabile in quella determinata condizione.



d) I limiti del carico movimentabile manualmente andranno selezionati in funzione delle quote di popolazione lavorativa che si intende effettivamente proteggere e tenendo conto almeno di fattori individuali quali il sesso e l’età peraltro parzialmente regolamentati nel corpo normativo italiano. Sotto questo profilo da un lato si può ragionevolmente pensare a un livello di protezione esteso quantomeno al 90% della popolazione lavorativa adulta sana e dall’altro affermare che tale livello di protezione porta a limiti differenziati almeno per sesso e fascia di età.



Va infine ricordato che taluni degli elementi di rischio riportati nell’allegato non riguardano unicamente l’aspetto del sovraccarico sul rachide dorso-lombare, ma pure meritano un’attenzione e valutazione puntuale ai fini del contenimento dei rischi di infortunio o di carattere igienistico.



Tali sono ad esempio le voci III e V del punto 1 (caratteristiche del carico), III e IV del punto 2 (sforzo fisico richiesto) nonché la maggior parte delle voci del punto 3 (caratteristiche dell’ambiente di lavoro).
INFOTEL ha detto…
PROCEDURE, MODELLI E CRITERI DI VALUTAZIONE DEL RISCHIO CONNESSO ALLA MOVIMENTAZIONE MANUALE



La valutazione del rischio connesso all’attività di movimentazione manuale di carichi va necessariamente preceduta da una analisi del lavoro (verosimilmente operata nel contesto della più generale valutazione dei rischi di cui all’art. 4 del D.Lgs) con cui in particolare si possa evidenziare se, tra i compiti lavorativi previsti per uno o più lavoratori sono compresi quelli di movimentazione manuale di carichi nonché, nel caso, le caratteristiche tipologiche, di durata e di frequenza degli stessi.

Individuati tali compiti si dovrebbe, nello spirito di quanto previsto al titolo V, operare secondo lo schema di flusso generale qui indicato nella pagina successiva.

Per quanto attiene più specificamente le tecniche di valutazione, verranno qui proposti dei metodi di facile utilizzo derivati dalla letteratura e da linee guida internazionali che tengono conto dei diversi riferimenti fin qui forniti a lettura ed interpretazione del testo del D.Lgs 626/94.

Si tratta di due percorsi diversi a seconda che si tratti di valutare da un lato azioni di sollevamento (o abbassamento) di carichi e dall’altro azioni di trasporto con cammino o di tirare o di spingere.

È del tutto evidente che i metodi suggeriti non rappresentano l’unico percorso possibile per la valutazione del rischio e che pertanto sono parimenti accettabili anche altri approcci che tuttavia dovranno al contempo essere derivati da esperienze validate dalla letteratura e tenere adeguato conto dell’interrelazione tra i diversi elementi di rischio riportati nell’allegato VI.

Sotto questo profilo si vuole tuttavia sottolineare che il metodo del NIOSH proposto per l’esame delle azioni di sollevamento offre il duplice vantaggio di essere stato sperimentato per oltre 10 anni negli USA e di rappresentare la base per standard europei in corso di avanzata elaborazione presso il CEN.
INFOTEL ha detto…
Valutazione di azioni di trasporto in piano di carichi e di tirare e spingere (con l’intero corpo)



Non esiste per tali generi di azioni un modello valutativo collaudato e scaturito dall’apprezzamento integrato di molteplici approcci, come è quello del NIOSH per azioni di sollevamento.

Allo scopo pertanto possono risultare comunque utili i risultati di una larga serie di studi di tipo psicofisico magistralmente sintetizzati da SNOOK e CIRIELLO (1991).

Con essi si forniscono per ciascun tipo di azione, per sesso per diversi percentili di “protezione” della popolazione sana, nonché per varianti interne al tipo di azione (frequenza, altezza da terra, metri di trasporto, ecc.) i valori limite di riferimento del peso (azioni di trasporto) o della forza esercitata (in azioni di tirare o spingere, svolte con l’intero corpo) nella fase iniziale e di mantenimento dell’azione.

Nelle Tabelle 3, 4 e 5 sono riportati i relativi valori rispettivamente per azioni di spinta, di tiro e di trasporto in piano; sono stati selezionati unicamente i valori che tendono a proteggere il 90% delle rispettive popolazioni adulte sane, maschili e femminili.

L’uso dei dati riportati nelle figure a fini di valutazione è estremamente semplice: si tratta di individuare la situazione che meglio rispecchia il reale scenario lavorativo esaminato, decidere se si tratta di proteggere una popolazione solo maschile o anche femminile, estrapolare il valore raccomandato (di peso o di forza) e confrontarlo con il peso o la forza effettivamente azionati ponendo quest’ultima al numeratore e il valore raccomandato al denominatore.

Si ottiene così un indicatore di rischio del tutto analogo a quello ricavato con la procedura di analisi di azioni di sollevamento. La quantificazione delle forze effettivamente applicate richiede il ricorso ad appositi dinamometri da applicare alle reali condizioni operative sul punto di azionamento dei carrelli manuali.
INFOTEL ha detto…
Indicatori di rischio e azioni conseguenti



Come si è visto è possibile, sia pure attraverso percorsi diversi in funzione delle diverse azioni di movimentazione, arrivare a esprimere indicatori sintetici di rischio derivati dal rapporto tra il peso (la forza) effettivamente movimentato e il peso (la forza) raccomandato per quell’azione nello specifico contesto lavorativo.

Sulla scorta del risultato (indicatore) ottenuto è possibile delineare conseguenti comportamenti in funzione preventiva. Nel dettaglio valgono i seguenti orientamenti:



· l’indice sintetico di rischio è < 0,75 (area verde): la situazione è
accettabile e non è richiesto alcuno specifico intervento.



· L’indice sintetico di rischio è compreso tra 0,75 e 1 (area gialla): la situazione si avvicina ai limiti, una quota della popolazione (stimabile tra l’1% e il 10% di ciascun sottogruppo di sesso ed età) può essere non protetta e pertanto occorrono cautele anche se non è necessario uno specifico intervento. Si può consigliare di attivare la formazione del personale addetto. Lo stesso personale può essere, a richiesta, sottoposto a sorveglianza sanitaria specifica. Laddove è possibile, è consigliato di procedere a ridurre ulteriormente il rischio con interventi strutturali ed organizzativi per rientrare nell’area verde (indice di rischio < 0,75).



· L’indice sintetico di rischio è > 1 (area rossa). La situazione può comportare un rischio per quote crescenti di popolazione e pertanto richiede un intervento di prevenzione primaria. Il rischio è tanto più elevato quanto maggiore è l’indice. Vi è necessità di un intervento immediato di prevenzione per situazioni con indice maggiore di 3; l’intervento è comunque necessario anche con indici compresi tra 1 e 3. Programmare gli interventi identificando le priorità di rischio. Riverificare l’indice di rischio dopo ogni intervento. Attivare la sorveglianza sanitaria periodica del personale esposto.
INFOTEL ha detto…
CONSIDERAZIONI DI SINTESI SULLA VALUTAZIONE DELLE AZIONI DI MOVIMENTAZIONE



Il presente contributo è stato preparato nel tentativo di proporre, oltre che una chiave di lettura di quanto disposto dal Titolo V del D.Lgs 626/94, anche delle metodiche di valutazione del rischio connesso alla movimentazione manuale di facile applicazione sul campo.

Esse dovrebbero essere in grado di facilitare il lavoro di valutazione in buona parte dei contesti in cui le stesse vanno applicate e, data la loro semplicità, di favorire il mantenimento dei costi connessi a tale processo di valutazione.

Va da sé che tali metodiche potranno risultare incomplete o inadeguate in alcuni contesti, di maggiore complessità e difficoltà, specie laddove gli altri elementi di rischio considerati nell’Allegato VI e non compresi nei modelli proposti fossero preminenti: in tali casi si dovrà ricorrere ad una analisi più approfondita condotta da personale qualificato.

D’altro lato è doveroso ribadire che la valutazione e la gestione del rischio, specie per le situazioni più complesse, dovrà tener conto anche di ulteriori informazioni derivanti dall’analisi dei dati sanitari (es. registrazione delle lesioni da sforzo e delle lombalgie acute connesse con il lavoro), da standard e linee guida internazionali, dalla letteratura tecnico scientifica nonché da quanto disponibile presso quelle strutture del Servizio sanitario nazionale che in questi anni hanno maturato adeguate esperienze sulla materia.



Sotto il profilo operativo si vuole qui inoltre chiarire che sebbene l’art. 47 stabilisca che le norme del Titolo VI si applicano a qualsiasi azione di movimentazione manuale in tutti i contesti di lavoro, sotto il profilo applicativo le procedure di valutazione potranno rivolgersi a:



· carichi di peso superiore a 3 kg;

· azioni di movimentazione che vengono svolte in via non occasionale (ad es. con frequenze medie di 1 volta ogni ora nella giornata lavorativa tipo). Per le azioni di tipo occasionale, specie di sollevamento, sarà possibile operare la valutazione sulla scorta del semplice superamento del valore massimo consigliato per le diverse fasce di età e sesso (30 kg maschi, 20 kg femmine).



Inoltre, laddove esistano “serie omogenee” di posti e modalità di lavoro, sarà possibile procedere, in prima istanza, e operate le opportune verifiche, ad una valutazione campionaria che sarà considerata rappresentativa dell’intera serie da analizzare.

L’utilizzazione critica delle metodiche proposte, su un altro fronte, potrà condurre gli operatori più accorti a delineare le specifiche strategie per l’eventuale contenimento del rischio: si tratterà infatti di agire su quei fattori ed elementi risultati maggiormente critici (e penalizzanti) in fase di valutazione e di ricorrere, secondo possibilità ed opportunità, ora a soluzioni strutturali (diminuzione del peso, miglioramento delle zone e percorsi in cui avviene la movimentazione, ausiliazione) ora a soluzioni organizzative (azioni svolte da più operatori, diminuzione della frequenza di azione, rotazione e condivisione tra più lavoratori delle attività di movimentazione).

Vi è, sotto questo profilo, la piena consapevolezza che quando si passerà dalla valutazione del rischio alla ricerca delle soluzioni, quest’ultima si presenterà più o meno facile nei diversi settori di lavoro. Vi sono infatti dei settori (es. ospedali, edilizia, trasporti e traslochi, lavori di facchinaggio) in cui l’adozione di soluzioni realmente adeguate risulterà estremamente problematica per una molteplicità di diversi elementi contrastanti (peso indivisibile, problemi strutturali, di contesto economico e sociale).

In tali settori si tratterà di adottare tutte le tecniche di prevenzione disponibili (interventi strutturali, organizzativi, formativi, di sorveglianza sanitaria) in un adeguato mix nella consapevolezza che è possibile il contenimento e controllo del rischio ma è difficile la sua riduzione a livelli di insignificanza.

Al contrario in altri settori, tipicamente quelli dell’industria manifatturiera, le soluzioni di prevenzione si presentano tendenzialmente di più semplice attuazione e generalmente possibili anche a costi economici di investimento contenuti.
INFOTEL ha detto…
LA SORVEGLIANZA SANITARIA DEI LAVORATORI ADDETTI AD ATTIVITÀ DI MOVIMENTAZIONE MANUALE DI CARICHI

Riferimenti normativi



L’articolo 48, comma 4, punto c) del D.Lgs 626/94 prevede che il datore di lavoro sottoponga a sorveglianza sanitaria gli addetti ad attività di movimentazione manuale di carichi.

Tale sorveglianza sanitaria, svolta secondo le previsioni dell’articolo 16 del medesimo decreto, è effettuata dal medico competente e comprende:

· accertamenti preventivi per valutare l’eventuale presenza di controindicazioni al lavoro specifico;

· accertamenti periodici per controllare lo stato di salute del lavoratore.



Entrambi tali accertamenti comportano l’espressione di giudizi di idoneità e comprendono esami clinici, biologici ed indagini diagnostiche mirate allo specifico rischio (lesioni del rachide dorso-lombare nella fattispecie).

L’articolo 17 del medesimo decreto legislativo, al comma 2, chiarisce che “il medico competente può avvalersi, per motivate ragioni, della collaborazione di medici specialisti scelti dal datore di lavoro, che ne sopporta gli oneri”.

Finalità della sorveglianza sanitaria



Le finalità generali della sorveglianza sanitaria sono di tipo eminentemente preventivo e destinate a verificare, prima dell’avvio al lavoro e poi nel tempo, l’adeguatezza del rapporto tra specifica condizione di salute e specifica condizione di lavoro dei lavoratori singoli e, in seconda istanza, collettivamente considerati.

All’interno di tale finalità generale e tenuto conto che le patologie in questione sono, al massimo, del tipo “lavoro-correlato (work-related)”, si possono individuare obiettivi più specifici della sorveglianza, quali:



· identificare eventuali condizioni “negative” di salute ad uno stadio precoce al fine di prevenirne l’ulteriore decorso;

· identificare soggetti portatori di condizioni di ipersuscettibilità per i quali vanno previste misure protettive più cautelative di quelle adottate per il resto dei lavoratori;

· contribuire, attraverso opportuni feedback, all’accuratezza della valutazione del rischio collettivo ed individuale;

· verificare nel tempo l’adeguatezza delle misure di prevenzione collateralmente adottate;

· raccogliere dati clinici per operare confronti tra gruppi di lavoratori nel tempo e in contesti lavorativi differenti.

Patologie di interesse



Pressoché tutte le patologie che coinvolgono il rachide (indipendentemente dai meccanismi etiopatogenetici) sono di specifico interesse se non altro ai fini dell’espressione dei giudizi di idoneità al lavoro (si veda al proposito anche quanto riportato nelle tabelle 8, 9a e 9b): tuttavia è bene chiarire che, ai presenti fini, esse possono essere grossolanamente suddivise in due diversi gruppi:



a) patologie non etiologicamente correlabili con l’attività di lavoro (es. patologie su base costituzionale, metabolica o genetica di tipo prevalentemente malformativo) ma che sono influenzate negativamente dal sovraccarico biomeccanico e che pertanto rappresentano una condizione di ipersuscettibilità nei soggetti che ne sono portatori;

b) patologie a etiologia multifattoriale nelle quali tuttavia condizioni di sovraccarico biomeccanico lavorativo possono agire come cause primarie o concause rilevanti. Tali sono le forme che si incentrano su processi di degenerazione del disco intervertebrale (es. discopatie, protrusione ed ernia del disco) nonché le forme generiche acute (lombalgia da sforzo).



È ovvio che le prime sono di interesse solo ai fini dei giudizi di idoneità al lavoro specifico nei singoli soggetti che ne siano portatori mentre le seconde, oltre a ciò, interessano anche in chiave collettiva potendo la loro occorrenza essere interpretata (disponendo di opportuni dati di riferimento) come elemento di verifica della più complessiva azione preventiva. Va inoltre ricordato che, ai fini dell’espressione dei giudizi di idoneità, andranno considerati anche gli aspetti relativi alle condizioni di altri organi ed apparati (es. cardiovascolare, respiratorio) nonché a particolari condizioni fisiologiche (es. stato gravidico).

Periodicità degli accertamenti



Come suggerito dalla norma, la sorveglianza sanitaria mirata va attivata verso i singoli soggetti al momento della loro “assunzione” o “avviamento al lavoro” naturalmente laddove gli stessi siano destinati ad attività con movimentazione manuale di carichi.

In tale fase relativi controlli andrebbero effettuati su tutti gli addetti a movimentazione manuale indipendentemente dall’esito della valutazione del rischio attraverso i cosiddetti “indici di movimentazione”. Tali indici infatti, con le conseguenti indicazioni per quanto concerne la sorveglianza sanitaria periodica, sono stati definiti su di un’ipotesi di protezione della popolazione lavorativa adulta “sana”.

In fase di assunzione si tratta di sottoporre a screening quelle patologie del rachide anche di natura non lavorativa la cui presenza potrebbe rivelarsi di per sé incompatibile con la specifica condizione di lavoro anche per livelli di esposizione relativamente “sicuri” per la grande maggioranza della popolazione. Si vuole qui per inciso ricordare che lo scopo della sorveglianza sanitaria in fase di assunzione non può né deve essere (salvo isolate eccezioni) quello di selezionare i lavoratori “più sani e forti” da adibire a lavori sovraccaricanti, ma bensì di individuare i soggetti già portatori di una qualche patologia che li renda ipersuscettibili alle condizioni di lavoro “accettabili” per tutti e che pertanto deponga per provvedimenti di restrizione dei possibili livelli di esposizione.

La sorveglianza sanitaria periodica ha, come già evidenziato, finalità almeno in parte diverse e più ampie di quella preventiva.

In prima ipotesi essa va attivata per tutti i soggetti esposti a condizioni di movimentazione manuale di carichi in cui l’indice di movimentazione sia risultato, alla valutazione del rischio, superiore a 1.

L’effettiva periodicità (cadenza dei ricontrolli) andrà stabilita dal medico competente in funzione della valutazione del rischio medesima e delle conoscenze relative allo stato di salute individuale e collettivo della popolazione seguita; è possibile peraltro che il medico competente scelga di adottare periodicità differenziate per i singoli soggetti. In linea di massima tuttavia si può affermare che una periodicità triennale dovrebbe essere adeguata a monitorare soggetti esposti a condizioni di movimentazione con relativo indice compreso tra 1 e 3, e di età compresa tra 18 e 45 anni. Qualora l’indice fosse superiore, per il periodo necessario a ridurre il rischio lavorativo, sarà bene aumentare la frequenza dei controlli sanitari mirati (annuale - biennale). Per i soggetti più giovani e per gli ultraquarantacinquenni la periodicità dei controlli dovrebbe di norma essere biennale.

Va ricordato infine che, in sede di prima applicazione delle norme del D.Lgs 626/94, si rende necessaria una campagna straordinaria di controllo sanitario mirato di tutti i lavoratori adibiti ad attività di movimentazione manuale di carichi, con indice di movimentazione superiore a 1, ovviamente laddove tale procedura non fosse già stata attivata per altri motivi nella fase precedente.

Protocolli



Fermo restando che il medico competente ha il diritto-dovere di attivare, nei limiti della deontologia professionale, delle norme di legge e delle finalità della sorveglianza sanitaria, quelle che a suo parere sono le procedure cliniche più adeguate, in questa sede verranno forniti degli orientamenti utili più che altro ad uniformare i criteri di comportamento e a rendere paragonabili i dati raccolti in contesti diversi.

In via orientativa, per le finalità di screening delle popolazioni lavorative esposte, possono essere adottati gli strumenti dell’intervista anamnestica mirata e dell’esame clinico-funzionale del rachide.

Una versione integrata di tali strumenti è stata messa a punto, sperimentata, validata e già largamente applicata dall’Unità di Ricerca “Ergonomia della Postura e del Movimento (EPM)” di Milano che ne ha fatto oggetto di successive pubblicazioni.

Essa è riportata nel dettaglio nell’Appendice: lì sono anche fornite note circa i criteri per l’inquadramento diagnostico dei diversi sintomi e segni raccolti durante la loro applicazione.

Allo stato attuale delle conoscenze sembra importante raccomandare di non procedere, in fase di screening, all’esecuzione di esami radiografici che invece andranno riservati a quei casi per i quali il preliminare esame anamnestico e clinico funzionale del rachide ne abbia evidenziato l’opportunità e la necessità.

Tale impostazione deriva non solo da una doverosa cautela radioprotezionistica ma anche dalla constatazione di un inadeguato rapporto tra costi e benefici (da più parti ribadito in letteratura) laddove sono state applicate procedure indiscriminate di screening radiografico della popolazione.

Al contrario la radiografia, accanto ad altri esami strumentali, di laboratorio e ad eventuali accertamenti clinico-specialistici (ortopedici, reumatologici, fisiatrici), è da prevedersi nei casi in cui vi sia un motivato sospetto clinico-diagnostico.

In Appendice al proposito viene fornita una lista, non esaustiva, di segni o quadri, rilevati all’esame clinico-funzionale di screening, per i quali si rende utile il ricorso all’approfondimento radiografico.

Va tuttavia sottolineato che la procedura indicata (esame clinico di screening e radiografia solo nei casi selezionati) comporta qualche problema specie in sede di accertamento preventivo.

In tale sede infatti, per ovvi motivi, il soggetto tende a sottacere e a minimizzare i propri eventuali sintomi; inoltre vi sono affezioni (es. spondilolistesi di lieve grado, tumori benigni delle vertebre, ecc.) che, specie in età giovanile, restano effettivamente silenti sia sul piano dei sintomi che dei segni clinici. Ne deriva che, anche ad un esame clinico accurato, tali affezioni possono sfuggire e pertanto, in assenza di esame radiografico, i soggetti che ne sono portatori, e che sono di fatto degli ipersuscettibili, verranno avviati comunque ad un lavoro per essi potenzialmente sovraccaricante.

Questa osservazione è stata riportata non già per ribaltare l’impostazione di fondo data (che anzi resta comunque valida) quanto piuttosto per focalizzare l’attenzione sulla necessità che l’accertamento clinico di screening preventivo deve essere condotto accuratamente e sul fatto che anche in seguito potrebbero manifestarsi, in soggetti già assunti e controllati periodicamente, eventi patologici non attribuibili primariamente al lavoro ma che pure possono condurre a provvedimenti di esclusione dai compiti comportanti un “relativo” sovraccarico per il rachide.

Per il futuro, l’approfondimento delle interconnessioni tra determinati quadri semeiotici e possibili patologie vertebrali, da un lato, e la disponibilità di nuove tecniche strumentali non o poco invasive e di basso costo, dall’altro lato, potranno consentire di superare gradualmente le difficoltà evidenziate specie per quanto attiene agli screening preventivi.

Per quanto attiene invece agli screening periodici è possibile ipotizzare una procedura a 3 step che preveda in linea di massima:



· l’utilizzazione generalizzata dell’indagine anamnestica mirata;

· l’effettuazione dell’esame clinico funzionale del rachide nei casi positivi all’indagine anamnestica;

· l’effettuazione di ulteriori esami specialistici radiologici e strumentali nei casi che ne abbisognano, sulla scorta dell’indagine anamnestica e dell’esame clinico-funzionale del rachide. In particolare tali approfondimenti vanno attivati quando si prospetti l’opportunità di un giudizio di idoneità condizionata (v. oltre).

Utilizzazione dei dati collettivi degli screening periodici



Gli strumenti di screening proposti consentono di inquadrare, indipendentemente dagli ulteriori accertamenti eventualmente attivati in chiave individuale, ogni soggetto secondo i sintomi accusati negli ultimi dodici mesi (positività all’intervista anamnestica) o, sulla scorta dell’esame clinico-funzionale, secondo un sistema di catalogazione dei sintomi e segni in tre distinti gradi di spondiloartropatia clinico-funzionale (SAP) rispettivamente per i tratti cervicale, dorsale e lombosacrale.

Il primo grado di SAP coincide con la positività all’intervista anamnestica (v. appendice).

Inoltre nel modello di screening proposto, gli eventi acuti, quali le lombalgie acute, vengono specificamente registrati ed elaborati.

I dati collettivi, scaturiti dalle campagne periodiche di accertamento sanitario condotte con tali strumenti nei confronti di gruppi di lavoratori esposti, possono essere utilizzati con finalità molteplici; tra queste è tuttavia preminente la verifica dell’esistenza, nel gruppo considerato, di eventuali eccessi dell’occorrenza di casi positivi rispetto a gruppi di riferimento composti da lavoratori a bassa o nulla esposizione lavorativa.

Tale verifica infatti rappresenta:



· una modalità di controllo (sugli effetti) della qualità della valutazione del rischio e, più che altro, delle misure di prevenzione primaria specificamente adottate.

· un elemento per l’eventuale pianificazione tanto di ulteriori interventi di prevenzione primaria quanto di un rafforzamento quali-quantitativo della sorveglianza sanitaria medesima.



Va al proposito considerato che i disturbi e le patologie oggetto della specifica sorveglianza sanitaria sono diffusi in una certa misura, dipendente peraltro da numerosi fattori extralavorativi (tra cui preminenti il sesso e l’età anagrafica), anche nella popolazione adulta non esposta professionalmente. Per ipotesi, tale diffusione nella popolazione adulta generale rappresenta il “plafond”, il livello, oltre al quale gli eccessi eventualmente registrati nell’occorrenza di patologia nei gruppi di esposti è attribuibile alla specifica condizione di lavoro verso la quale va pertanto orientata l’attività di prevenzione.

Al fine di facilitare i confronti qui ipotizzati, nelle tabelle 6 e 7 sono riportate, per sesso e classi decennali di età anagrafica, le prevalenze registrate in un gruppo di soggetti con bassa o nulla esposizione professionale, di casi di positività anamnestica per i disturbi del rachide cervicale, dorsale e lombosacrale e per gli episodi annui di lombalgia acuta.

I dati riportati nelle tabelle 6 e 7, come detto, possono essere utilizzati come “termine di paragone” per verificare l’esistenza di fenomeni di notevole scostamento dalle frequenze di singole alterazioni ragionevolmente attese nell’ipotesi di rischio lavorativo trascurabile.

È evidente che i confronti potranno essere operati solo laddove il gruppo di esposti considerato risulti sufficientemente numeroso per la trattazione statistica e sia stato visitato e classificato secondo i metodi e i criteri che in questa sede sono stati proposti.