Il rischio connesso all’uso di sostanze pericolose

Il concetto di “rischio”

Il concetto di rischio non ha mai avuto una definizione univoca.
Facendo un rapido excursus storico-culturale e risalendo alle civiltà araba, greca e latina, si ricorda come gli arabi definissero il rischio “possibile risultato fortuito e favorevole” traducendo l’antico termine risq in “tutto ciò che ti è stato donato [da Dio] e dal quale puoi trarne profitto”.
Diversamente, i greci ponevano l’accento sulla casualità piuttosto che sul valore (positivo/negativo) del risultato,mentre i latini (risicum) si dimostravano già molto più vicini all’attuale sentimento comune di rischio come “pericolo connesso al realizzarsi di un evento sfavorevole”.
Attualmente infatti, l’interpretazione comune tende ancora all’orientamento latino, associando il rischio alle situazioni potenzialmente dannose cui è esposta un’azienda riconoscendolo come l’“esposizione all’incertezza che ha potenziali conseguenze negative”4, considerandone quindi l’esposizione agli eventi negativi ed escludendone le possibili conseguenze positive indicate separatamente come “opportunità”.
Anche in letteratura, l’accento è comunemente posto sul “downside-risk” (conseguenze derivanti da un evento negativo): ad esempio, Lowrance (1976) lo ha identificato nella “misura delle probabilità e della gravità di effetti avversi” (v. anche Klinke-Renn 2002); secondo Rowe (1977) “il rischio corrisponde alle potenziali conseguenze non auspicate di un evento o di un’attività”, per Rescher (1983) è il “pericolo di un risultato negativo”,e per Wharton (1985) e Pfleeger (2000) “ogni evento o risultato non voluto o non atteso derivante da una decisione o da un insieme di azioni e che ha conseguenze negative”.
C’è più di una buona ragione per sostenere come il “risk-asthreat” (cioè il rischio visto esclusivamente nel suo aspetto di downside) non sia l’approccio auspicabile. Nonostante alcuni rischi non siano controllabili dal management,così da cautelarsi dai possibili risvolti negativi, la maggior parte si rivela gestibile e magari sfruttabile per conquistare benefici più elevati. Abbracciando una “definizione neutrale”, alcuni rischi possono essere d’aiuto a studiare ipotesi per una migliore gestione.
Il Rischio viene connesso ad una misura dell’incertezza come combinazione di probabilità (espressa anche in termini di frequenza, intesa come numero di volte che l’evento può verificarsi in un dato periodo di tempo) e conseguenze (“impatto” o “gravità”, quantificando l’entità del danno al verificarsi dell’evento) associate alla realizzazione dell’evento di riferimento.
Il rischio quindi combina due aspetti concorrenti: il danno, cioè l’entità delle conseguenze negative, e la frequenza (o probabilità) del suo avverarsi. 
In termini molto riduttivi si definisce come indice di rischio R il prodotto di questi due fattori, il danno M (o magnitudo) e la probabilità (o frequenza) di accadimento P:
Per quanto attiene al danno esso può riferirsi a qualsiasi elemento avente un valore: l’uomo, l’ambiente, i beni,in pratica tutto ciò che attiene al nostro benessere morale e materiale.
Per quanto attiene alla quantificazione della frequenza (o probabilità) essa rappresenta una fase molto critica.
Infatti potrebbe verificarsi una situazione di un incidente all’anno che comporti cento morti e un’altra situazione in cui si abbiano cento incidenti all’anno, ciascuno con un morto e nonostante l’indice di rischio corrispondente sia lo stesso non è corretto attribuire alle due situazioni lo stesso peso.


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