La disciplina vigente il nuovo ruolo del lavoratore

sicurezza lavoro d lgs 81
Il d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, come modificato dal d.lgs. 3 agosto 2009, n. 106, in stretta continuità con il d.lgs. n. 626/1994, disciplina e razionalizza l’intera materia della sicurezza, confermando, sostanzialmente, l’impianto normativo precedente, seppur con diverse integrazioni e modifiche. Ciò è stato rilevato dalla dottrina e ha trovato conferma anche in giurisprudenza. Una delle novità più rilevanti, apportata dal d.lgs. n. 81/2008, a conferma di quanto già operato dal d.lgs. n. 626/1994, è stata coinvolgere tutti i soggetti impegnati nell’attività lavorativa, in considerazione del fatto che la sicurezza sul lavoro si ottiene con il contributo di tutti coloro che operano sui luoghi di lavoro, ovviamente, in proporzione alle loro possibilità e alle competenze di ciascuno. In conseguenza di ciò, oltre ai soggetti tradizionalmente considerati titolari delle posizioni di garanzia, quali datore di lavoro, dirigenti e preposti – tenuti a garantire il rispetto della disciplina prevenzionale per la tutela dell’incolumità del prestatore di lavoro – anche lo stesso lavoratore è stato onerato di obblighi finalizzati proprio a prevenire il verificarsi di un evento lesivo in danno proprio, di altri lavoratori o di terzi. È l’art. 20 del d.lgs. n. 81/2008, in particolare, a prescrivere obblighi a carico dei lavoratori in materia di sicurezza. Il suo ambito di applicazione è alquanto esteso rispetto a quello di cui all’abrogato art. 5 del d.lgs. n. 626/1994, in considerazione dell’ampia nozione di lavoratore e di soggetti a lui equiparati, fornita dall’art. 2, lett. a, del d.lgs. n. 81/2008. Tale ultima norma definisce lavoratore colui che “indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato”. Ciò che rileva, dunque, per il legislatore, è che il lavoratore sia inserito nell’organizzazione del datore di lavoro rimanendo, invece, del tutto irrilevante il tipo di rapporto giuridico che lo lega al medesimo. Il legislatore, in sostanza, ha inteso superare i confini della subordinazione giuridica inserendo, a pieno titolo, nella nozione di lavoratori, tutti i soggetti che, pur non essendo dipendenti del datore di lavoro, forniscano una prestazione in suo favore che, in quanto inserita nella sua organizzazione, li esponga potenzialmente ai rischi per la loro salute e sicurezza derivanti proprio dall’attività da lui svolta. Mediante l’ampia nozione di lavoratore e tramite la tecnica dell’equiparazione, sono stati, dunque, ricompresi nell’ambito di applicazione del decreto legislativo, come soggetti beneficiari della normativa, tutte le tipologie contrattuali autonome, subordinate, anche flessibili, nonché del c.d. non lavoro, compreso il volontariato. Il predetto art. 20 individua, delinea e dettaglia in maniera ancora più puntuale, rispetto alla normativa previgente, gli obblighi comportamentali del lavoratore. La sua ampia formulazione letterale riprende, in larga misura, il testo del precedente e omologo (ormai abrogato) art. 5 del d.lgs. n. 626/1994, modificando solo in parte la successione degli adempimenti ivi prescritti e aggiungendo due significative e importanti disposizioni, in precedenza non espressamente contemplate: si tratta della lett. h, che impone ai lavoratori di partecipare ai corsi di formazione e di addestramento organizzati dal datore di lavoro e della lett. i, che impone l’obbligo di sottoporsi ai controlli sanitari 15. Tale norma costituisce, secondo alcuni, il nucleo centrale del sistema di prevenzione soggettivo, fondato, appunto, sulla partecipazione individuale dei singoli lavoratori. Il successivo art. 21 del d.lgs. n. 81/2008, invece, per la prima volta, prescrive obblighi per i lavoratori autonomi (che compiono opere o servizi ai sensi dell’art. 2222 c.c., nonché soci delle società semplici operanti nel settore agricolo, coltivatori diretti del fondo, artigiani, piccoli commercianti) e per i componenti dell’impresa familiare, di cui all’art. 230-bis c.c.; ciò, in considerazione della estensione della nozione di lavoratore innanzi detta. Tale norma si applica anche ai volontari, come definiti dalla nuova versione dell’art. 3, comma 12-bis del d.lgs. n. 81/2008. Si tratta di obblighi in materia di attrezzature di lavoro, dispositivi di protezione individuale e tessera di riconoscimento. È una norma particolarmente rilevante e innovativa in quanto, al primo comma, prescrive alcuni obblighi rinvenienti da rischi propri delle attività svolte da tali soggetti con oneri a esclusivo carico dei medesimi; al secondo comma, invece, prescrive alcune facoltà. L’aver previsto il legislatore, anche per tali lavoratori, obblighi sanzionati penalmente, evidenzia in maniera univoca e chiara la sua volontà di responsabilizzare tutti i lavoratori, subordinati (compresi gli equiparati) e non, a prescindere dalla tipologia del relativo contratto di lavoro. Gli artt. 59 e 60 del d.lgs. n. 81/2008, infine, sanciscono le sanzioni da applicare ai lavoratori, nel caso di violazione degli artt. 20 e 21. Il lavoratore non è più considerato soltanto beneficiario delle norme prevenzionistiche ma, al contempo, destinatario “iure proprio” di una serie di precetti antinfortunistici 19 e, talvolta, addirittura, soggetto attivo del reato 20. A lui il legislatore ha assegnato un ruolo nuovo e attivo: egli è stato chiamato “a uscire dalla sua inerzia di titolare del credito di sicurezza, il cui soddisfacimento è comunque autonomamente garantito e rafforzato e a farsi protagonista della sicurezza individuale e collettiva”. Secondo alcuni, il lavoratore è al tempo stesso soggetto/oggetto dell’obbligo di sicurezza. Il sistema sicurezza creato da tale normativa – ispirato a metodologie di tipo scientifico e ai principi della qualità totale (nell’ambito della quale a ogni soggetto è assegnato un ruolo preciso e coordinato) – ha così inteso responsabilizzare anche il soggetto più direttamente inserito nell’organizzazione aziendale che, proprio per il suo ruolo, per la sua collocazione operativa e per il suo diretto coinvolgimento nel ciclo produttivo, meglio di chiunque altro è in grado di individuare le situazioni di rischio e i possibili rimedi. Per questo gli si chiede di contribuire, insieme al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti, all’adempimento degli obblighi previsti a tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. Non più, dunque, solo soggetto passivo dal quale esigere il rispetto e l’esecuzione di ciò che altri soggetti stabiliscano ma attore capace di influire e influenzare, con il suo apporto, il sistema di organizzazione della sicurezza; non più solo creditore di sicurezza ma anche debitore della stessa, obbligato cioè a collaborare con gli altri soggetti della sicurezza in virtù dei compiti di intervento, di segnalazione, di controllo e del suo fattivo contributo nell’organizzazione aziendale. Ciò in linea con le caratteristiche delle moderne organizzazioni produttive. La prestazione di lavoro da lui resa, dunque, deve essere svolta “in condizioni di sicurezza”, grazie all’azione del datore di lavoro e dei suoi più stretti collaboratori – che restano gli obbligati principali – ma, al tempo stesso, deve essere “sicura” anche grazie al rispetto, da parte sua, degli obblighi impostigli direttamente dalla legge. Cambia, dunque, l’impostazione di fondo: diversamente dai precedenti normativi tesi, in particolare, a imporre misure tecniche di sicurezza da aggiornare continuamente (c.d. sicurezza oggettiva), la normativa di derivazione comunitaria di seconda generazione, ha reso partecipi e cor-responsabili tutti i soggetti coinvolti nell’organizzazione del lavoro e, dunque, gli stessi lavoratori – tradizionalmente meri soggetti beneficiari della tutela – in quanto direttamente inseriti nell’organizzazione del lavoro (sicurezza soggettiva). Ciò, per assicurare una migliore tutela e sicurezza dei lavoratori e per raggiungere l’obiettivo della tutela della “sicurezza” globale. È per questo che il d.lgs. n. 81/2008 ha assegnato al lavoratore il nuovo ruolo di collaboratore di sicurezza del datore di lavoro. Egli è, pertanto, tenuto a partecipare ai programmi di formazione e addestramento organizzati dal datore di lavoro; è, altresì, tenuto a osservare le norme poste dal legislatore ed eventualmente dal datore di lavoro in materia di sicurezza; è, comunque, tenuto ad assumere comportamenti avveduti, accorti, prudenti, al fine di tutelare il bene salute sua e degli altri lavoratori e/o terzi. I suoi comportamenti, a ben vedere, sono quasi sempre la risposta a corrispondenti obblighi/doveri del datore di lavoro. Gli obblighi imputabili al lavoratore sono, infatti, profondamente inseriti in un sequenza obbligatoria dinamica, nella quale l’adempimento di un obbligo, o meglio di un complesso pur funzionalmente unitario di obblighi, è a sua volta, oltre che il contenuto di corrispondenti diritti – si pensi alla formazione – il presupposto, talora puramente fattuale, talaltra propriamente giuridico, dell’insorgere di altri e succedanei obblighi  che, tuttavia, trovano una forte delimitazione nello stesso art. 20 del d.lgs. n. 81/2008 che fra gli altri, sancisce per il lavoratore, l’obbligo di cooperazione nell’adozione di misure di sicurezza. A ben vedere, quest’ultimo obbligo, seppure posto sullo stesso piano di quello dei soggetti tradizionalmente ritenuti destinatari della normativa antinfortunistica e investiti del ruolo di garanti del bene tutelato, deve essere esaminato alla luce dei limiti e in base ai compiti propri di ciascuna figura. Non è, infatti, ipotizzabile che il contributo del lavoratore all’adempimento delle prescrizioni prevenzionali in materia di sicurezza, possa configurarsi come un dovere di intervento in supplenza delle inerzie e/o incurie dei principali soggetti obbligati. Per far ciò, al lavoratore dovrebbero essere attribuiti poteri decisionali e organizzativi di cui, invece, il medesimo non dispone. In conseguenza di ciò, il lavoratore è tenuto ad adoperarsi direttamente e a eliminare e/o ridurre le deficienze e/o i pericoli che dovessero sorgere, solo nei casi di urgenza e previo avviso del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. La previsione normativa di numerosi e rilevanti obblighi a carico del lavoratore si pone in una posizione di complementarietà rispetto al debito di sicurezza dei principali garanti, primo fra tutti il datore di lavoro e determina la costituzione di una vera e propria posizione di garanzia avente a oggetto non solo la tutela della propria incolumità ma anche di quella dei colleghi, dello stesso datore di lavoro e dei terzi presenti sui luoghi di lavoro. La giurisprudenza che in materia di sicurezza, come già innanzi detto, per molti anni ha ignorato il comportamento del prestatore di lavoro, solo di recente ha cominciato, finalmente, a prendere atto della “nuova filosofia” in materia e del nuovo ruolo che compete al lavoratore subordinato nel panorama dei molti soggetti destinatari e gravati del dovere di sicurezza. Con una rilevante e innovativa sentenza, dopo una interessante ricostruzione del quadro normativo di riferimento, la Cassazione è arrivata ad affermare il principio secondo il quale il lavoratore è tenuto a svolgere un ruolo di garanzia attiva all’interno dell’impresa o dell’unità produttiva, al fine di tutelare la propria ma anche l’altrui sicurezza, senza, tuttavia, dimenticare che il soggetto primariamente obbligato sia e resti il datore di lavoro. Le sentenze successive si sono allineate e hanno confermato tale orientamento. Ciò che cambia, dunque, anche secondo la giurisprudenza, è l’approccio e la diversa valutazione delle azioni pericolose dei lavoratori.

Tratto da L’individuazione e le responsabilità del lavoratore in materia di sicurezza sul lavoro di Mariantonietta Martinelli I WORKING PAPERS DI OLYMPUS – 37/2014 

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