I Biocarburanti

Biocarburanti
I Biocarburanti
Con il termine biocarburanti si intendono tutti i carburanti che si ottengono dalla biomassa sia allo stato liquido che gassoso. I carburanti così ottenuti possono essere utilizzati per alimentare motori a combustione interna.
Di solito i biocarburanti venivano utilizzati nel settore dei trasporti come sostituti dei combustibili fossili, ma negli ultimi anni si è assistiti a una espansione anche nel campo della generazione elettrica, in particolare nella cogenerazione.
Quindi si è superato il legame con il settore dei trasporti dando maggiore enfasi  all’eterogeneità delle applicazioni consentite dai motori endotermici.
I biocarburanti si distinguono in due categorie:
Biocarburanti di prima generazione di cui fanno parte il biodiesel, il bioetanolo prodotto dai cereali e dalle materie prime zuccherine, gli oli vegetali puri, il bio-ETBE (Etil Ter Butil Etere prodotto dal  bioetanolo) e il biogas;
Biocarburanti di seconda generazione di cui invece fanno parte il bioetanolo prodotto dalle materie prime ligno-cellulosiche, , il biometanolo,  il bioidrogeno, il syngas, il biodimetiletere, il bio-MTBE, il biobutanolo e il diesel sintetico, ottenuto attraverso la reazione Fischer- Tropsch.
Il biodiesel è una miscela di esteri metilici, ottenuti dagli oli e dai
grassi animali e vegetali. Le da proprietà chimiche, fisiche e merceologiche che caratterizzano il biodiesel, lo rendono affine al gasolio e ne consentono la sostituzione nei motori endotermici a ciclo Diesel.
Il biodiesel può essere prodotto dagli oli vegetali che si ottengono dalle coltivazioni di oleaginose dedicate, e dagli oli e dai grassi animali e vegetali esausti di origine alimentare, recuperati mediante la raccolta differenziata. Le colture più utilizzate in Italia sono la soia il girasole e la colza.
Gli oli vegetali, utilizzati per la produzione del biodiesel, derivano
dalla preparazione e dalla conservazione degli alimenti e possono
provenire dalle industrie agroalimentari, dagli esercizi pubblici, dalle attività di ristorazione collettiva, e dalle utenze domestiche.
Possono essere utilizzati per la produzione del biodiesel anche i grassi animali residui della lavorazione delle carni bovine, suine e avi-cunicole. Questi ultimi però sono caratterizzati da una bassa qualità, e da elevati valori di acidità, necessitano pertanto di un trattamento preliminare alla conversione in biodiesel.
Con il termine transesterificazione si fa riferimento alla reazione di sintesi del biodiesel, cui partecipano gli oli vegetali e il metanolo o l’etanolo come reagenti e il potassio idrossido o l’acido solforico come catalizzatore.
La transesterificazione può essere condotta ricorrendo a soluzioni
tecniche alternative, che differiscono principalmente per le condizioni
di temperatura e pressione a cui si opera.
La scissione dei trigliceridi, componenti degli oli, in esteri metilici ha l’effetto di ridurne la viscosità fino a valori prossimi a quelli del gasolio.
Il bioetanolo è definito come l’etanolo o alcol etilico che si ricava dalla biomassa e/o dalla parte biodegradabile dei rifiuti.
Il bioetanolo, in virtù delle sue proprietà è in grado di sostituire la benzina nei motori a ciclo Otto; si presume che, una volta terminata la sperimentazione motoristica, possa essere utilizzato anche nei motori a ciclo Diesel.
La classificazione del bioetanolo come biocarburante di prima o di seconda generazione è basata esclusivamente sulle materie prime impiegate, poiché le caratteristiche del prodotto finale sono identiche.
Per alcune proprietà il bioetanolo ha un comportamento migliore di quello della benzina infatti evidenzia una capacità antidetonante maggiore di quella della benzina, poiché presenta un valore più elevato per il numero di ottano.
La principale caratteristica che rende il bioetanolo un carburante dal
comportamento peggiore rispetto a quello della benzina è la densità
energetica: in considerazione dei valori di PCI, infatti, per sostituire un
chilogrammo di benzina sono necessari 1,67 chilogrammi di bioetanolo
Inoltre la volatilità del bioetanolo è superiore a quella della benzina. Ne
consegue una miscelazione con l’aria più veloce e omogenea nel corso
della carburazione.
Il bioetanolo di prima generazione è prodotto dalle materie prime di natura zuccherina (o saccarifera) e amidacea (o amilacea), derivanti sia dalle colture dedicate, sia dai residui agricoli e dell’industria agroalimentare.
Sono comunemente denominate alcoligene le colture destinate a fornire
prodotti agricoli, in virtù del loro elevato contenuto in carboidrati.
Quelle ritenute più indicate alle condizioni pedo-climatiche italiane sono la barbabietola da zucchero e il sorgo zuccherino, per quanto riguarda le
saccarifere, e il mais, per quanto concerne le amidacee.
Si definiscono biocarburanti  di seconda generazione perché mostrano delle caratteristiche e delle prestazioni migliori rispetto a quelle dei biocarburanti tradizionali e al contempo necessitano di soluzioni processistiche e tecnologiche più complesse e perfezionate.
Le materie prime impiegate maggiormente per la produzione di biocarburanti di seconda generazione sono quelle residuali
(in primis i residui agroforestali e la frazione organica dei rifiuti
solidi urbani), poiché consentono di ridurre significativamente l’incidenzadel costo di reperimento. In alternativa si può ricorrere alle
colture dedicate a elevata produttività (la canna comune, il sorgo da
fibra, il panico).
Se si sottopone la biomassa solida a un progressivo aumento di temperatura, anche in assenza di ossigeno, hanno luogo importanti processi termochimici, che originano altri combustibili in forma solida, liquida o gassosa, che sono alla base di un’ulteriore attenzione per la produzione di alcuni biocarburanti di seconda generazione.

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