Le correzioni contenute nella bozza ministeriale possono così essere riassunte:
In tema di Valutazione dei Rischi:
- Fissazione di procedure standardizzate per facilitare le PMI e le imprese agricole nella identificazione dei rischi aziendali e nella predisposizione del DvR
- Fissazione di criteri standard per la formulazione del DUVRI negli appalti
- Fissazione di criteri standard per la valutazione dello “Stress lavoro-correlato”
- La data certa del DvR sarà assicurata dalla firma contestuale del datore di lavoro, del RSPP e del RLS
Altre modifiche:
- Abolizione del divieto delle visite mediche preassuntive
- Comunicazione in via telematica degli infortuni superiori ad 1 giorno
Modifiche relative all’apparato sanzionatorio:
- Nelle due fattispecie in cui il T.U. prevede l’arresto obbligatorio (salvo che dalla violazione non derivi la morte o la lesione grave di un dipendente), si prevede l’alternatività tra arresto e ammenda
- Rivisitazione dell’entità delle ammende
- Le sanzioni d’impresa ex D.Lgs 231/01 non potranno essere applicate automaticamente
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Sicurezza lavoro, Coldiretti: modifiche importanti per agricoltura
Sicurezza lavoro, Coldiretti: modifiche importanti per agricoltura
In agricoltura, per accompagnare il processo di riduzione degli infortuni in atto alle imprese agricole - sottolinea Coldiretti - serve prevenzione, formazione e innovazione mentre rischiano di essere addirittura controproducenti la burocrazia e l’inasprimento delle sanzioni.
Il trend registrato conferma il prezioso lavoro di ammodernamento delle imprese agricole fatto in questi anni - precisa la Coldiretti - per rendere il lavoro in agricoltura tecnologicamente più avanzato e più sicuro anche se molto resta da fare. Un risultato che è frutto dell'impegno degli imprenditori e dei lavoratori per lo sviluppo di un'agricoltura al servizio della sicurezza della salute, dell'ambiente e dell'alimentazione, che - conclude la Coldiretti - vuole conciliare gli interessi delle imprese, degli occupati e dei consumatori.
coldiretti.it
BOLOGNA - Costruire un nuovo modello per garantire la sicurezza sul lavoro, che possa essere applicato da piccole e grandi imprese e salvaguardare tutti i lavoratori. E' questa la sfida in cui si impegnano l'Università di Bologna, la Fondazione Alma Mater e la Fondazione Unipolis, con il tavolo tematico "Salute e sicurezza nei luoghi di lavoro", in programma domani, a Bologna, a Villa Gandolfi Pallavicini.
"Il tavolo è nato dalla sollecitazione del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in visita un anno fa all'Università di Bologna", spiega il rettore Pier Ugo Calzolai, "e riunisce tutte le conoscenze necessarie: il mondo accademico, le istituzioni e le imprese che eccellono in questi temi". Il tavolo, già attivo e che domani avrà la sua prima uscita pubblica, dovrà quindi creare un innovativo modello di valutazione della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro, che dovrebbe essere pronto a ottobre 2009 e messo gratuitamente a disposizione delle imprese interessate.
"Si tratta in altre parole di creare una nuova cultura del lavoro, una nuova responsabilità delle aziende: per riuscirci c'è bisogno anche di una formazione specifica", sottolinea Walter Tega , presidente della Fondazione Alma Mater. "Non ci si può occupare di sicurezza sul lavoro a corrente alternata, solo dopo grandi tragedie, ma si deve tenere alta l'attenzione", aggiunge Walter Dondi, consigliere delegato della Fondazione Unipolis. "Il tavolo ha l'obiettivo ambizioso ridurre il numero degli infortuni e avvicinare l'Italia agli altri Paesi europei". "Per riuscirci partiamo da quel pezzo d'Italia dove si lavora in sicurezza: ovvero dalle aziende d'eccellenza che abbiamo coinvolto nel progetto", illustra Francesco Saverio Violante, ordinario di Medicina del lavoro nell'Ateneo bolognese e coordinatore del tavolo.
Da Ducati a Lamborghini, da Fincantieri a Ferrovie dello Stato, sono 27 le imprese e le associazioni che lavorano al tavolo e che secondo i promotori rappresentano le migliori pratiche per quanto riguarda la qualità, l'ambiente, la salute e la sicurezza. "L'obiettivo è unire settori molto diversi fra loro per creare un sistema che possa essere applicato sia dalla grande impresa che dalla piccola azienda artigiana", spiega Ennio Dottori del gruppo Hera. Secondo i promotori, in effetti, sono proprio le piccole e medie imprese a fare più fatica sui temi della sicurezza: "E' difficile per loro adeguarsi agli standard necessari", aggiunge Dottori. "Il modello che costruiremo sarà invece uno strumento che potranno adottare agevolmente".
E fra gli anelli deboli sul tema sicurezza il tavolo riserva un'attenzione particolare ai lavoratori stranieri, grazie alla presenza di Domenico Berardi, coordinatore del centro di ricerca sulla salute mentale dei migranti dell'Università. "Mentre fra gli italiani c'è un calo degli infortuni", spiega Berardi, "fra i migranti questi aumentano e raggiungono il 10%, e questo senza contare gli irregolari. La causa è che lavorano in settori ad alto rischio, ma va detto che spesso manca una cultura di difesa del lavoro: si sottopongono a turni massacranti e fanno due o tre lavori contemporaneamente".
Le regole sulla sicurezza potrebbero cambiare presto con le modifiche al testo unico proposte negli scorsi giorni dal ministro del Welfare Maurizio Sacconi. "Tenendo conto che il decreto presentato ha molta strada da fare e probabilmente subirà modifiche", commenta Francesco Saverio Violante, "sembra che le novità non siano sconvolgenti e che l'impianto del testo unico rimanga lo stesso". Ma il progetto di Università e Unipolis guarda oltre. "Non si tratta semplicemente di rispettare le norme in vigore sulla sicurezza", aggiunge Tega, "ma di operare un continuo miglioramento e di puntare all'eccellenza".
(RedSoc/EmiliaRomagna)
ROMA - Incidenti sul lavoro: non una fatalità e neppure il prezzo da pagare alla complessità del processo produttivo, ma il risultato della mancata osservanza delle più elementari misure di prevenzione. I sindacati Feneal-Uil, Filca-Cisl e Fillea-Cgil hanno presentato alla Commissione parlamentare di inchiesta sugli infortuni sul lavoro un documento congiunto contenente una serie di proposte per arginare il fenomeno degli incidenti nel settore delle costruzioni. L'idea cardine è quella di creare una concorrenza fra le imprese basata su fattori di qualità e innovazione e non una lotta senza quartiere fondata sull'abbassamento dei costi, l'evasione contributiva, il lavoro nero e l'elusione delle normativa di sicurezza.
Tra le proposte presenti nel documento figurano la necessità di disciplinare l'accesso alla professione imprenditoriale e di individuare soluzioni che consentano l'assegnazione degli appalti secondo il meccanismo dell'offerta economicamente più vantaggiosa, ma anche l'idea di consolidare l'esperienza del Durc (Documento unico di regolarità contributiva), incentivare la regolarità delle imprese attraverso sistemi di riduzione degli oneri fiscali, garantire parità di condizioni fra lavoratori immigrati e italiani, rafforzare ed estendere la presenza dei rappresentanti territoriali per la sicurezza e incrementare la formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Ma cosa accade attualmente nei cantieri? Il documento presentato alla Commissione di inchiesta apre uno spaccato poco rassicurante sul lavoro edile e le sue zone d'ombra. Secondo i sindacati edili, infatti, gli elementi più critici sono soprattutto il meccanismo distorto di assegnazione degli appalti, la logica del massimo ribasso e la lunga catena dei subappalti e sub-contrattazioni di servizi, noli e forniture. Un secondo (ma non secondario) fattore di criticità è poi determinato dal massiccio ricorso al lavoro nero e irregolare. Nonostante il Durc abbia fatto emergere circa 200mila lavoratori irregolari - si legge nel documento - in alcuni casi la presenza del lavoro sommerso raggiunge anche il 35-40% della manodopera complessiva. Una situazione, quest'ultima, che non riguarda soltanto alcune realtà meridionali caratterizzate da forte disoccupazione ma anche città come Roma e Milano che, almeno fino ai mesi scorsi, potevano vantare tassi di disoccupazione a livello europeo.
A peggiorare la situazione c'è poi il caporalato, che interessa soprattutto i lavoratori stranieri. Gli immigrati rappresentano mediamente il 25-30% dei lavoratori regolarmente iscritti alle Casse edili - sottolineano Feneal, Filca e Fillea - ma nelle città del Centro Nord costituiscono spesso il 40-50% dei lavoratori regolari. Un'ulteriore causa di sfruttamento esasperato dipende poi dal cosiddetto "distacco di lavoratori nell'ambito di una prestazione di servizi", un meccanismo che consente di importare temporaneamente in Italia lavoratori di altri Stati. Anziché godere delle tutele e dei diritti degli edili italiani questi lavoratori sono ricattati e sottopagati. Infatti - si legge ancora nel documento - questo meccanismo di ingresso in Italia, in deroga alle quote previste dal decreto flussi e senza tetti, comporta spesso consistenti risparmi previdenziali rispetto alla manodopera italiana grazie al pagamento dell'obbligo contributivo nel Paese di origine, che risulta ovviamente più basso. Il risultato per i sindacati è un eclatante fenomeno di sfruttamento che ricade non solo sui salari, con edili stranieri pagati un quinto rispetto ai colleghi italiani, ma anche sulla sicurezza con un abbassamento del livello di guardia e conseguente crescita degli infortuni anche gravissimi.
(ap)
BOLOGNA - Sembrano avere risolto il problema della casa e dell'occupazione, ma fanno lavori pesanti, non partecipano ai corsi in materia di sicurezza e non hanno praticamente vita sociale (a parte il rapporto con i connazionali). Almeno a Bologna e provincia. Sono i risultati della ricerca "Vivere sotto le Due Torri", un'indagine realizzata da novembre 2007 ad aprile 2008 (e quindi "prima della crisi", come fa notare Raffaele Lelleri, responsabile dell'Osservatorio provinciale delle immigrazioni e direttore dello studio) tra un campione di 350 lavoratori stranieri regolari e iscritti all'Inps. La ricerca è stata promossa dall'Azienda Usl di Bologna, gestita dalla Provincia e realizzata grazie al contributo di Ucodep-Elfo, Inps, INAIL, Iiple, Assindustria e associazione Extrafondente.
L'identikit tracciato - età media degli intervistati 38 anni, in Italia da circa 10 anni, per il 54% di sesso maschile, provenienti soprattutto da Marocco e Albania per gli uomini e da Romania e Ucraina per le donne e con le Filippine presenti in pari numero - ha cercato di sondare gli aspetti riguardanti "lavoro, salute e integrazione". Il risultato è un profilo in chiaro-scuro. Se, da un lato, la quasi totalità degli intervistati ha un impiego (l'87%), una casa, è iscritto al Sistema sanitario nazionale e va regolarmente dal medico di base, dall'altro fanno lavori faticosi che causano diversi problemi di salute (o che non rispondono alla loro qualifica e al titolo di studio), fanno pochissimi screening e visite di controllo e non hanno molti rapporti con la comunità locale o le reti di vicinato.
Per quanto riguarda la situazione lavorativa, "la metà del campione contattato ha un contratto a tempo indeterminato, il 15% è part-time, il 10% è a termine, mentre il 7% ha un lavoro autonomo - dice Giorgio Gossetti, dell'Università di Verona, uno dei curatori della ricerca -. Il 40% degli intervistati è operaio; seguono poi gli occupati nel settore delle pulizie (11%), chi lavora come colf o baby-sitter (quasi il 10%) e gli addetti ai trasporti e alla movimentazione (7%)". Oltre l'80% ha studiato più di otto anni. E se i lavoratori stranieri si dicono "soddisfatti" del rapporto che hanno con il capo e i colleghi, per quanto riguarda le "attese" vorrebbero guadagnare di più e avere una maggiore certezza della stabilità del posto di lavoro. Ma a incidere sulla qualità dell'occupazione è anche il fatto che un terzo degli intervistati ha raccontato di aver lavorato pure nei giorni festivi o per più di dieci ore al giorno. Inoltre, solo il 37% ha frequentato corsi di sicurezza sul lavoro. "Questo comporta che, mentre calano gli infortuni tra i lavoratori italiani, crescono quelli tra gli immigrati", commenta Carla Tedeschi dell'INAIL di Bologna.
Se, in generale, le condizione di salute sono "buone a preoccupare l'Azienda sanitaria locale è soprattutto il fatto che "gli immigrati non siano attenti alla prevenzione", sottolinea Fausto Francia dell'Ausl di Bologna: il 48% delle donne contattate, ad esempio, non ha mai fatto il pap-test e solo 14 hanno fatto una mammografia. Infine, i dati raccolti segnalano una situazione di relativo isolamento nelle relazioni con la comunità locale. Oltre la metà non esce mai con i colleghi di lavoro la sera o nel weekend, i connazionali e i parenti sono le persone con cui gli immigrati trascorrono buona parte del loro tempo libero, il 58% dice di non frequentare mai i vicini di casa e alquanto limitata risulta la partecipazione alla vita associativa: sport, cultura e politica sembrano non interessare i lavoratori stranieri che vivono a Bologna e dintorni.
(RedSoc/EmiliaRomagna)
Ma se si raffronta la sanzione con quella prevista dal decreto legislativo 626/94, si nota che, per la medesima violazione, confermata l'entità della pena detentiva, quella pecuniaria è stata aumentata del 30 per cento. L'apparato sanzionatorio, seppure rimodulato anche in riferimento a entità e gravità dalla violazione, appare più contenuto rispetto al decreto 81 ma più oneroso rispetto al 626. Il principio adottato dallo schema di decreto correttivo non riguarda solo datori di lavoro e dirigenti, ma tutti i soggetti coinvolti nella "partita" della sicurezza. Infatti, le modifiche interessano preposti, medici competenti, lavoratori, fabbricanti e fornitori.