CORTE DI CASSAZIONE Sez. pen. - Sentenza 14 dicembre 2000, n. 13012
Pres. Acquarone - Est. Fiale (ric. Manca e altro)
Svolgimento del processo
Con sentenza 7 maggio 1996 il Pretore di Tempio Pausania affermava la penale responsabilità di Manca Giovanni Maria e Saba Giovanni Maria in ordine al reato di cui:
- agli artt. 113 e 589, 1° e 2° comma, cod. pen. (per avere - il Manca nella qualità di subappaltante i lavori di costruzione di un complesso edilizio in località "Sedda" di Tempio Pausania ed il Saba quale operatore gruista - cooperato a cagionare la morte di Firinu Giovanni, per colpa, consistita per il primo nel non vigilare adeguatamente sul rispetto della normativa antinfortunistica ed in particolare violando gli artt. 58 del D.P.R. n. 164/1956 e 186 del D.P.R. n. 547/1955, consentendo il sollevamento di "pallets" di blocchetti di cemento senza sistema di imbragaggio ed il passaggio sopra la testa dei lavoratori, ed il secondo operando materialmente tali manovre, procurato la morte del predetto lavoratore per la caduta sul capo di uno di tali "pallets" di blocchetti - in Tempio Pausania, il 1° ottobre 1993) e, riconosciute circostanze attenuanti generiche equivalenti all'aggravante contestata, condannava ciascuno alla pena di mesi sei di reclusione, concedendo ad entrambi il beneficio della sospensione condizionale.
Sul gravame degli imputati, la Corte di appello di Cagliari - Sezione distaccata di Sassari, con sentenza 1° febbraio 1997, assolveva gli stessi con la formula "il fatto non sussiste" sui rilievi che, nella fattispecie:
# non poteva trovare applicazione l'art. 58 del D.P.R. n. 164/1956, la cui previsione si riferisce alle operazioni di sollevamento di laterizi, pietrame, ghiaia ed altri materiali minuti;
# non era stata dimostrata la violazione dell'art. 186 del D.P.R. n. 547/1955, poichè il carico aveva iniziato il movimento quando nel suo raggio d'azione non vi era alcuna persona presente;
# nel capo di imputazione non si era provveduto a contestare la colpa generica e, comunque, elementi di colpa generica avrebbero potuto essere addebitati soltanto alla vittima.
Detta decisione veniva annullata da questa Corte Suprema, con sentenza di rinvio dell'11 febbraio 1998, con la quale veniva rilevato che la prescrizione antinfortunistica violata non era quella di cui all'art. 58 del D.P.R. n. 164/1956, bensì quella - contestata in fatto e comunque da ricomprendersi nel richiamo contenuto nell'imputazione agli obblighi di cui all'art. 4 del D.P.R. n. 164/1956 - prevista dall'art. 169 del D.P.R. n. 547/1955: norma di carattere generale che mira per l'appunto ad evitare eventi del genere di quello in concreto verificatosi con la previsione di un obbligo, gravante sia sul datore di lavoro che sul gruista, durante le operazioni di sollevamento, la stabilità del carico.
La Corte di appello di Cagliari - giudicando in seguito a detto rinvio con sentenza del 20 gennaio 2000 - ravvisava la violazione, da parte di entrambi gli imputati, dell'obbligo di osservanza della prescrizione di cui all'art. 169 del D.P.R. n. 547/1955 (nell'esercizio dei mezzi di sollevamento e di trasporto si devono adottare le necessarie misure per assicurare la stabilità del mezzo e del suo carico, in relazione al tipo del mezzo stesso, alla sua velocità, alle accelerazioni in fase di avviamento e di arresto ed alle caratteristiche del percorso) e l'incidenza causale della violazione medesima sull'evento letale, sicchè confermava la pronuncia di condanna adottata dal primo giudice.
Avverso tale ultima sentenza hanno proposto ricorso gli imputati, i quali - sotto i profili della violazione di legge e della mancanza e manifesta illogicità della motivazione - hanno eccepito che il giudice di rinvio non avrebbe "svolto le operazioni ricostruttive a lui demandate". In particolare:
# quanto al Manca, non avrebbe tenuto conto che, "obbligo, incombente sul datore di lavoro, di vigilare affinchè siano impediti atti o manovre rischiose del dipendente nello svolgimento del suo lavoro e di controllare l'osservanza da parte dello stesso delle norme di sicurezza e dei mezzi di protezione non comporta una continua vigilanza sull'esecuzione di ogni attività,… richiedendosi solo una diligenza rapportata in concreto al lavoro da svolgere e cioè all'ubicazione del medesimo, all'esperienza e specializzazione del lavoratore, alla sua autonomia, alla prevedibilità della sua condotta, alla normalità della tecnica di lavorazione".
Lo stesso Manca, nel caso concreto, aveva provveduto a dotare il cantiere di tutti mezzi necessari (cassoni, braghe, pedane rigide di legno, caschi, ecc.) ed aveva reiteratamente ribadito la prescrizione di usare le pedane rigide di legno di cui il cantiere era dotato, scartando quelle eventualmente diverse impiegate dalle ditte fornitrici dei materiali. Egli, perciò - contrariamente a quanto affermato dalla Corte di merito - non avrebbe dovuto "vigilare specificamente sulla singola operazione standard, seguendola direttamente e controllando le modalità di sua esecuzione";
# quanto al Saba, avrebbe ravvisato la violazione del precetto fissato dall'art. 169 del D.P.R. n. 547/1955 omettendo ogni indispensabile valutazione in ordine al tipo di mezzo impiegato in concreto ed alle sue caratteristiche tecniche (velocità, accelerazioni, assenza o meno di scosse, meccanismi di ammortizzamento dell'arresto, ecc.).
La Corte di merito, inoltre - procedendo ad una ricostruzione imprecisa e semplificata della vicenda ed omettendo di valutare significativi elementi di fatto (il lavoratore deceduto avrebbe usato una pedana diversa da quelle fornite dal datore di lavoro; l'incidente mortale sarebbe avvenuto dopo che erano stati sollevati e scaricati ben cinque "pallets" confezionati con le pedane rigide; il sesto "pallet" avrebbe presentato specifiche anomalie per il caricamento, su pedana non rigida, di una fila in più di blocchetti di cemento sporgenti dai bordi; esso inoltre sarebbe stato sollevato con le forche infilate solo parzialmente e non distese per tutta la loro lunghezza) - avrebbe espresso un giudizio apodittico sulla necessità che il carico, per essere stabile, dovesse essere legato con braghe ed avrebbe dedotto l'affermata inidoneità delle modalità di sollevamento e trasporto esclusivamente dalla circostanza dell'intervenuta caduta del carico medesimo.
Pres. Acquarone - Est. Fiale (ric. Manca e altro)
Svolgimento del processo
Con sentenza 7 maggio 1996 il Pretore di Tempio Pausania affermava la penale responsabilità di Manca Giovanni Maria e Saba Giovanni Maria in ordine al reato di cui:
- agli artt. 113 e 589, 1° e 2° comma, cod. pen. (per avere - il Manca nella qualità di subappaltante i lavori di costruzione di un complesso edilizio in località "Sedda" di Tempio Pausania ed il Saba quale operatore gruista - cooperato a cagionare la morte di Firinu Giovanni, per colpa, consistita per il primo nel non vigilare adeguatamente sul rispetto della normativa antinfortunistica ed in particolare violando gli artt. 58 del D.P.R. n. 164/1956 e 186 del D.P.R. n. 547/1955, consentendo il sollevamento di "pallets" di blocchetti di cemento senza sistema di imbragaggio ed il passaggio sopra la testa dei lavoratori, ed il secondo operando materialmente tali manovre, procurato la morte del predetto lavoratore per la caduta sul capo di uno di tali "pallets" di blocchetti - in Tempio Pausania, il 1° ottobre 1993) e, riconosciute circostanze attenuanti generiche equivalenti all'aggravante contestata, condannava ciascuno alla pena di mesi sei di reclusione, concedendo ad entrambi il beneficio della sospensione condizionale.
Sul gravame degli imputati, la Corte di appello di Cagliari - Sezione distaccata di Sassari, con sentenza 1° febbraio 1997, assolveva gli stessi con la formula "il fatto non sussiste" sui rilievi che, nella fattispecie:
# non poteva trovare applicazione l'art. 58 del D.P.R. n. 164/1956, la cui previsione si riferisce alle operazioni di sollevamento di laterizi, pietrame, ghiaia ed altri materiali minuti;
# non era stata dimostrata la violazione dell'art. 186 del D.P.R. n. 547/1955, poichè il carico aveva iniziato il movimento quando nel suo raggio d'azione non vi era alcuna persona presente;
# nel capo di imputazione non si era provveduto a contestare la colpa generica e, comunque, elementi di colpa generica avrebbero potuto essere addebitati soltanto alla vittima.
Detta decisione veniva annullata da questa Corte Suprema, con sentenza di rinvio dell'11 febbraio 1998, con la quale veniva rilevato che la prescrizione antinfortunistica violata non era quella di cui all'art. 58 del D.P.R. n. 164/1956, bensì quella - contestata in fatto e comunque da ricomprendersi nel richiamo contenuto nell'imputazione agli obblighi di cui all'art. 4 del D.P.R. n. 164/1956 - prevista dall'art. 169 del D.P.R. n. 547/1955: norma di carattere generale che mira per l'appunto ad evitare eventi del genere di quello in concreto verificatosi con la previsione di un obbligo, gravante sia sul datore di lavoro che sul gruista, durante le operazioni di sollevamento, la stabilità del carico.
La Corte di appello di Cagliari - giudicando in seguito a detto rinvio con sentenza del 20 gennaio 2000 - ravvisava la violazione, da parte di entrambi gli imputati, dell'obbligo di osservanza della prescrizione di cui all'art. 169 del D.P.R. n. 547/1955 (nell'esercizio dei mezzi di sollevamento e di trasporto si devono adottare le necessarie misure per assicurare la stabilità del mezzo e del suo carico, in relazione al tipo del mezzo stesso, alla sua velocità, alle accelerazioni in fase di avviamento e di arresto ed alle caratteristiche del percorso) e l'incidenza causale della violazione medesima sull'evento letale, sicchè confermava la pronuncia di condanna adottata dal primo giudice.
Avverso tale ultima sentenza hanno proposto ricorso gli imputati, i quali - sotto i profili della violazione di legge e della mancanza e manifesta illogicità della motivazione - hanno eccepito che il giudice di rinvio non avrebbe "svolto le operazioni ricostruttive a lui demandate". In particolare:
# quanto al Manca, non avrebbe tenuto conto che, "obbligo, incombente sul datore di lavoro, di vigilare affinchè siano impediti atti o manovre rischiose del dipendente nello svolgimento del suo lavoro e di controllare l'osservanza da parte dello stesso delle norme di sicurezza e dei mezzi di protezione non comporta una continua vigilanza sull'esecuzione di ogni attività,… richiedendosi solo una diligenza rapportata in concreto al lavoro da svolgere e cioè all'ubicazione del medesimo, all'esperienza e specializzazione del lavoratore, alla sua autonomia, alla prevedibilità della sua condotta, alla normalità della tecnica di lavorazione".
Lo stesso Manca, nel caso concreto, aveva provveduto a dotare il cantiere di tutti mezzi necessari (cassoni, braghe, pedane rigide di legno, caschi, ecc.) ed aveva reiteratamente ribadito la prescrizione di usare le pedane rigide di legno di cui il cantiere era dotato, scartando quelle eventualmente diverse impiegate dalle ditte fornitrici dei materiali. Egli, perciò - contrariamente a quanto affermato dalla Corte di merito - non avrebbe dovuto "vigilare specificamente sulla singola operazione standard, seguendola direttamente e controllando le modalità di sua esecuzione";
# quanto al Saba, avrebbe ravvisato la violazione del precetto fissato dall'art. 169 del D.P.R. n. 547/1955 omettendo ogni indispensabile valutazione in ordine al tipo di mezzo impiegato in concreto ed alle sue caratteristiche tecniche (velocità, accelerazioni, assenza o meno di scosse, meccanismi di ammortizzamento dell'arresto, ecc.).
La Corte di merito, inoltre - procedendo ad una ricostruzione imprecisa e semplificata della vicenda ed omettendo di valutare significativi elementi di fatto (il lavoratore deceduto avrebbe usato una pedana diversa da quelle fornite dal datore di lavoro; l'incidente mortale sarebbe avvenuto dopo che erano stati sollevati e scaricati ben cinque "pallets" confezionati con le pedane rigide; il sesto "pallet" avrebbe presentato specifiche anomalie per il caricamento, su pedana non rigida, di una fila in più di blocchetti di cemento sporgenti dai bordi; esso inoltre sarebbe stato sollevato con le forche infilate solo parzialmente e non distese per tutta la loro lunghezza) - avrebbe espresso un giudizio apodittico sulla necessità che il carico, per essere stabile, dovesse essere legato con braghe ed avrebbe dedotto l'affermata inidoneità delle modalità di sollevamento e trasporto esclusivamente dalla circostanza dell'intervenuta caduta del carico medesimo.
Motivi della decisione
Il ricorso deve essere rigettato, poichè le doglianze anzidette sono infondate.
Il giudice di rinvio, infatti, si è correttamente uniformato al principio di diritto affermato da questa Corte Suprema nella precedente sentenza di annullamento ed ha giustificato il proprio convincimento secondo lo schema esplicitamente enunciato nella sentenza rescindente.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte medesima, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro:
# al fine di escludere la responsabilità per reati colposi dei soggetti obbligati a garantire la sicurezza dello svolgimento del lavoro, non è sufficiente che tali soggetti impartiscano le direttive da seguire a tale scopo, ma è necessario che ne controllino, con prudente e continua diligenza la puntuale osservanza (Cass., Sez. Unite, 21 aprile 1989, n. 6168);
# il controllo e la vigilanza, affinchè l'attività lavorativa venga svolta con mezzi e modalità idonei a tutelare la sicurezza dei lavoratori, devono essere continui (Cass., Sez. IV, 22 settembre 1994, n. 10021) ed il destinatario delle regole di prudenza e delle norme di prevenzione deve provare in modo rigoroso e sicuro di avere compiuto atti specifici rivolti ad evitare che l'attività lavorativa si svolgesse in modo difforme dalle norme di sicurezza (Cass., Sez. IV, 22 settembre 1994, n. 10014);
# il compito del datore di lavoro è molteplice ed articolato e va dalla istruzione dei lavoratori sui rischi delle attività da essi svolte e sulla necessità di adottare, nell'espletamento delle stesse, misure di sicurezza determinate, alla predisposizione concreta di queste misure e quindi, ove le stesse consistano in particolari cose o strumenti, al mettere tali cose e strumenti a portata di mano del lavoratore e, soprattutto, al controllo continuo e pressante per imporre che i lavoratori rispettino le norme antinfortunistiche, si adeguino alle misure in esse previste e sfuggano alla superficiale tentazione di trascurarle (Cass, Sez. IV, 3 giugno 1995, n. 6486).
In relazione a tali enunciati i giudici del merito - nella fattispecie in esame - hanno accertato in punto di fatto:
# l'assoluta inidoneità del sistema di sollevamento dei carichi con "pallets" (anche rigidi) comunemente adottato, invece, sino al momento dell'incidente mortale;
# la esistenza di mezzi di imbragatura quali dotazioni del cantiere, ma la mancata prescrizione dell'uso indefettibile degli stessi nelle operazioni di sollevamento e trasporto di carichi sospesi;
# la sostanziale rimessione all'iniziativa ed alle scelte degli operatori dell'individuazione del mezzo più idoneo per il sollevamento dei carichi;
# l'omessa vigilanza sulla concreta utilizzazione dei mezzi di imbragatura;
# l'esecuzione, da parte dell'operatore gruista - proprio in considerazione dell'utilizzazione di una gru e di quelle che sono le caratteristiche comuni di tale mezzo meccanico - di operazioni di sollevamento e trasporto di carichi non stabili poichè non bene assicurati (blocchetti di cemento, del peso di circa 30 kg ciascuno, posti l'uno sull'altro e per file parallele su piattaforma di legno senza l'adozione di alcun sistema di contenimento o di imbragatura), cioè non assicurati in modo idoneo per essere sollevati e trasportati con una gru.
Razionalmente risulta pertanto affermata la violazione degli obblighi imposti dall'art. 169 del D.P.R. n. 547/1955 - da parte sia del datore di lavoro sia dell'operaio gruista - quale causa efficiente avente incidenza causale diretta sull'evento mortale.
Al rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese del procedimento.
Per questi motivi
La Corte Suprema di cassazione, visti gli artt. 607, 615 e 616 cod. proc. pen., rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali.
Il giudice di rinvio, infatti, si è correttamente uniformato al principio di diritto affermato da questa Corte Suprema nella precedente sentenza di annullamento ed ha giustificato il proprio convincimento secondo lo schema esplicitamente enunciato nella sentenza rescindente.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte medesima, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro:
# al fine di escludere la responsabilità per reati colposi dei soggetti obbligati a garantire la sicurezza dello svolgimento del lavoro, non è sufficiente che tali soggetti impartiscano le direttive da seguire a tale scopo, ma è necessario che ne controllino, con prudente e continua diligenza la puntuale osservanza (Cass., Sez. Unite, 21 aprile 1989, n. 6168);
# il controllo e la vigilanza, affinchè l'attività lavorativa venga svolta con mezzi e modalità idonei a tutelare la sicurezza dei lavoratori, devono essere continui (Cass., Sez. IV, 22 settembre 1994, n. 10021) ed il destinatario delle regole di prudenza e delle norme di prevenzione deve provare in modo rigoroso e sicuro di avere compiuto atti specifici rivolti ad evitare che l'attività lavorativa si svolgesse in modo difforme dalle norme di sicurezza (Cass., Sez. IV, 22 settembre 1994, n. 10014);
# il compito del datore di lavoro è molteplice ed articolato e va dalla istruzione dei lavoratori sui rischi delle attività da essi svolte e sulla necessità di adottare, nell'espletamento delle stesse, misure di sicurezza determinate, alla predisposizione concreta di queste misure e quindi, ove le stesse consistano in particolari cose o strumenti, al mettere tali cose e strumenti a portata di mano del lavoratore e, soprattutto, al controllo continuo e pressante per imporre che i lavoratori rispettino le norme antinfortunistiche, si adeguino alle misure in esse previste e sfuggano alla superficiale tentazione di trascurarle (Cass, Sez. IV, 3 giugno 1995, n. 6486).
In relazione a tali enunciati i giudici del merito - nella fattispecie in esame - hanno accertato in punto di fatto:
# l'assoluta inidoneità del sistema di sollevamento dei carichi con "pallets" (anche rigidi) comunemente adottato, invece, sino al momento dell'incidente mortale;
# la esistenza di mezzi di imbragatura quali dotazioni del cantiere, ma la mancata prescrizione dell'uso indefettibile degli stessi nelle operazioni di sollevamento e trasporto di carichi sospesi;
# la sostanziale rimessione all'iniziativa ed alle scelte degli operatori dell'individuazione del mezzo più idoneo per il sollevamento dei carichi;
# l'omessa vigilanza sulla concreta utilizzazione dei mezzi di imbragatura;
# l'esecuzione, da parte dell'operatore gruista - proprio in considerazione dell'utilizzazione di una gru e di quelle che sono le caratteristiche comuni di tale mezzo meccanico - di operazioni di sollevamento e trasporto di carichi non stabili poichè non bene assicurati (blocchetti di cemento, del peso di circa 30 kg ciascuno, posti l'uno sull'altro e per file parallele su piattaforma di legno senza l'adozione di alcun sistema di contenimento o di imbragatura), cioè non assicurati in modo idoneo per essere sollevati e trasportati con una gru.
Razionalmente risulta pertanto affermata la violazione degli obblighi imposti dall'art. 169 del D.P.R. n. 547/1955 - da parte sia del datore di lavoro sia dell'operaio gruista - quale causa efficiente avente incidenza causale diretta sull'evento mortale.
Al rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese del procedimento.
Per questi motivi
La Corte Suprema di cassazione, visti gli artt. 607, 615 e 616 cod. proc. pen., rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali.
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