La tecnica della stabilizzazione a calce o a cemento è da sempre utilizzata in ambito progettuale/cantieristico e consiste nella miscelazione del terreno con leganti (calce e/o cemento, appunto) in modo da modificarne le caratteristiche di lavorabilità e di resistenza meccanica.
A seconda della destinazione d’uso, l’azione chimica e meccanica innescata dal legante rende il terreno meno sensibile all’azione degli agenti atmosferici e diminuisce, inoltre, le alterazioni che esso può subire al variare della temperatura.
Sennonché, proprio sulla corretta gestione delle terre e rocce generate nel corso di attività di scavo, alle quali generalmente si applica la pratica della stabilizzazione nei modi appena considerati, è intervenuto il D.P.R. n. 120/20171 che si è riproposto di innovare l’intera materia con diverse finalità (art. 1).
In via preliminare, è opportuno premettere che nulla è cambiato dal punto di vista dell’inquadramento giuridico delle terre e rocce da scavo, le quali, ai sensi dell’art. 184, comma 3, lettera b), D.Lgs. n. 152/2006 rifiuti speciali.
Il D.P.R. n. 120/2017, invece, indica quando e a quali condizioni è possibile qualificarle come:
• non rifiuto [artt. 185, comma 1, lettera c), D.Lgs. 152/2006 e 24, D.P.R. 120/2017] e utilizzarle in situ;
• sottoprodotto (art. 4, D.P.R. 120/2017) e utilizzarle in sito diverso da quello di produzione.
Utile sottolineare anche che, nel caso in cui si debba gestirle come rifiuto, un’ulteriore opzione risiede nella possibilità di sottrarle allo smaltimento optando per un processo di recupero (art. 184-ter, D.Lgs.n. 152/2006).
In ottica di breve ripasso delle novità introdotte, si consideri, innanzitutto, che la possibilità di utilizzo del materiale escavato come non rifiuto nello stesso sito di produzione è fatto dipendere dalla verifica di non contaminazione di cui all’art.24, D.P.R. n. 120/2017, e ciò alla luce del disposto di cui alla lettera c) dell’art. 185, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006, che prevede l’esclusione dalla disciplina prevista per la gestione dei rifiuti di cui alla parte IV del medesimo decreto per «[…] il suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale escavato nel corso di attività di costruzione, ove sia certo cheesso verrà riutilizzato a fini di costruzione allo stato naturale e nello stesso sito in cui è stato escavato».
L’utilizzo delle terre e rocce escavate in sito diverso da quello di produzione in qualità di sottoprodotto, invece, è possibile solo se siano presenti tutte le condizioni previste dall’art. 4, D.P.R. 120/2017.
Dall’entrata in vigore del nuovo regolamento, molti sono stati i dubbi da parte degli operatori tanto che alcune Regioni (tra cui Emilia Romagna, Toscana, Veneto, Provincia Autonoma di Trento) sono intervenute con la predisposizione di una serie di documenti informativi e operativi utili alla corretta interpretazione della norma.
Da ultimo, con delibera n. 54/2019 il consiglio del Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Snpa) ha approvato le “Linea guida sull’applicazione della disciplina per l’utilizzo delle terre e rocce da scavo” , con l’intento di chiarire le criticità esitanti dal D.P.R. n. 120/2017.
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