Gli obblighi generali dei lavoratori
L’art. 20, comma 1, del d.lgs. n. 81/2008 prescrive, per ogni lavoratore,
l’obbligo
generale di “prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle
altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle
sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai
mezzi forniti dal datore di lavoro”.
Il testo normativo, salvo piccolissime difformità letterali, coincide con
l’ormai
abrogato comma 1, dell’art. 5, del d.lgs. n. 626/1994 Si tratta di una norma di
carattere generale, rispetto alle successive specifiche
indicazioni contenute nel secondo comma 40, dal contenuto ampio e non tipizzato.
È, altresì, sfornita di sanzione penale, in coerenza con il principio
fondamentale
della necessaria predeterminazione e tassatività delle condotte sanzionate
penalmente. Secondo alcuni, tuttavia, tale norma, essendo fonte dell’obbligo di
attivarsi, assume, comunque, rilevanza penale, ai sensi dell’art. 40, comma 2
c.p..
Attesa la sua ampia formulazione, inoltre, essa potrebbe essere utilizzata,
indirettamente, anche a fini repressivi, così come accade per l’art. 2087 c.c.,
al fine
di riempire di contenuto le fattispecie delittuose di cui agli artt. 589 e 590
c.p..
Secondo alcuni autori, essa avrebbe carattere immediatamente precettivo;
secondo altri, costituirebbe il criterio interpretativo della restante parte
della norma ; altri ancora, la ritengono una norma programmatica priva di ogni
valenza
normativa.
Tale ultima tesi non appare condivisibile. Come meglio si vedrà più oltre,
infatti, la
norma assume specifica rilevanza, sul piano civilistico ed è destinata a
conseguire
nell’ordinamento, una valenza che trascende i limiti del contratto di lavoro.
In virtù di tale previsione normativa, ciascun lavoratore è chiamato ad
adempiere
non soltanto agli obblighi specifici, imposti dal comma successivo e, peraltro,
penalmente sanzionati (ad eccezione della lett. a) ma anche a porre in essere
tutte
le azioni e ad assumere tutti i comportamenti idonei alla salvaguardia della
salute e
della sicurezza proprie e altrui, in proporzione alla formazione ricevuta, alle
competenze che possiede e alle condizioni ambientali date.
Il debito di sicurezza che tale norma pone a carico del lavoratore è, infatti,
limitato
alle sue conoscenze e competenze professionali e alla sfera di controllo
relativa
all’attività da lui espletata.
L’ampio concetto di prendersi cura, non comporta, secondo alcuni, soltanto
l’obbligo della semplice osservanza delle disposizioni ma impone al lavoratore
di
prestare un’attenzione consapevole ai suoi comportamenti e di assumere la
condotta richiesta dalla specifica situazione. Egli, dunque, dovrà astenersi
dall’assumere comportamenti che possano mettere a repentaglio la propria e
l’altrui
salute e sicurezza ovvero dovrà agire consapevolmente per tutelare e preservare
quegli stessi valori.
Il lavoratore, pertanto, potrà essere ritenuto responsabile, non solo nel caso
di
fattispecie commissive ma anche, di fattispecie omissive improprie, in
conseguenza
di una mancata azione che aveva il dovere di compiere. È proprio in tale
previsione normativa, secondo alcuni, che è rinvenibile una autonoma sfera di
azione in capo al lavoratore, rispetto alle condotte dovute in base a regole
prestabilite da altri.
Assolutamente condivisibili, le considerazioni operate da un Autore, secondo
cui
l’art. 20, comma 1, evidenzia il legame con l’attività di lavorare. Seppure il
suo
contenuto risulti ampio, elastico e non tipizzato, in concreto, la maggior parte
delle
condotte da esso imposte al lavoratore costituiscono proprio una frazione
dell’attività di prestazione, dovendo essere necessariamente attuate in
occasione
dell’esecuzione di questa. In altri termini, l’adempimento dell’obbligazione di
sicurezza e l’adempimento della prestazione danno vita a un complesso insieme di
attività nell’ambito del quale sarà impossibile determinare quanto è, in senso
stretto, comportamento adempiente l’obbligazione di lavorare e quanto
costituisce,
invece, parte del contegno diretto alla salvaguardia della sicurezza
dell’ambiente di
lavoro. La prestazione di lavoro, quindi, ai sensi dell’art. 20, comma 1, non è
più
solo, una prestazione di lavoro da svolgersi nelle condizioni di sicurezza
predisposte dal datore di lavoro nell’esercizio del suo potere direttivo, ma
anche,
una prestazione sicura, da realizzarsi nel rispetto degli obblighi imposti al
lavoratore
dalla normativa prevenzionistica.
Dell’operato del lavoratore rilevano, dunque, non soltanto il risultato ma anche
le
modalità di esecuzione della prestazione resa.
In virtù di ciò, l’obbligo di diligenza nell’esecuzione della prestazione, ai
sensi
dell’art. 2104 c.c., comporta, necessariamente anche, l’assolvimento degli
obblighi
relativi alla prevenzione degli infortuni (sia quelli che possono riguardare il
destinatario immediato del precetto che quelli che possano coinvolgere gli altri
lavoratori presenti sui luoghi di lavoro); così come, l’obbligo di obbedienza,
si
sostanzia nel dovere di osservare le disposizioni per l’esecuzione del lavoro
impartite dall’imprenditore e dai suoi collaboratori e comporta il dovere di
osservare anche le norme poste dal legislatore e le misure disposte dal datore
di
lavoro, per finalità prevenzionali. La sua prestazione dovrà, pertanto, essere
resa
nel pieno rispetto anche delle regole di sicurezza.
In termini concreti, ciò significa che, in virtù di tale norma, al lavoratore si
richiede
di compiere tutto quanto rientra nelle sue disponibilità e capacità, per
assicurare la
propria e l’altrui sicurezza, senza “ragionevoli” attenuazioni e senza
limitazioni
giustificate dalla carenza dei “mezzi” messi a disposizione del datore di
lavoro. Non
va, comunque, trascurato che il datore di lavoro deve sempre attivarsi
positivamente per organizzare le attività lavorative in modo sicuro, assicurando
anche l’adozione, da parte dei dipendenti, delle doverose misure tecniche ed
organizzative per ridurre al minimo i rischi connessi all’attività lavorativa e
deve,
inoltre, farsi promotore della formazione, dell’informazione e
dell’addestramento
dei lavoratori, impartendo loro adeguate istruzioni e dotandoli di idonei mezzi
di
protezione.
Come già innanzi anticipato, la previsione normativa di cui all’art. 20, comma
1,
non comporta, infatti, una erosione e/o una riduzione degli obblighi gravanti
sul
datore di lavoro, non essendo minimamente venuta meno la sua quota del debito
di sicurezza.
Vi è, dunque, una stretta correlazione fra i doveri imposti al lavoratore e
quanto il
datore di lavoro ha fatto in termini di formazione, istruzione e mezzi.
L’assolvimento da parte del datore di lavoro di tali obblighi posti dalla
normativa a
suo carico, condiziona, anzi, l’operatività dell’obbligo generale del lavoratore
di cui
al comma 1 e la sua effettiva portata.
L’avverbio “conformemente”, utilizzato dal legislatore, configura proprio un
limite
all’attribuzione di responsabilità in capo al lavoratore: vi sarà una sua
responsabilità,
in proporzione alla formazione ricevuta, alle adeguate istruzioni impartitegli e
ai
mezzi di protezione assegnatigli. Più il lavoratore è formato, istruito e dotato
di
idonei strumenti e mezzi di tutela, più responsabilità graveranno su di lui e
più il
datore di lavoro potrà pretendere da lui in materia di sicurezza, in
considerazione
del fatto che costui ha diritto di attendersi che il lavoratore, usando la
normale
diligenza, adempia esattamente ai propri doveri anche in tale materia.
Un obbligo di tal genere, responsabilizza, dunque, il lavoratore, è destinato a
incidere profondamente nei rapporti giuridici interni all’azienda , come
meglio si
vedrà più oltre e dovrebbe determinare un aumento dei livelli di tutela e di
protezione conferendo, complessivamente, maggiore effettività al sistema
sicurezza, che proprio su questo piano non aveva dato buoni risultati Fra i
beneficiari della tutela, la norma in esame non indica solo i lavoratori ma
anche le “altre persone” presenti sul luogo di lavoro.
Ci si è chiesti se tale ampia formulazione comprenda non solo i lavoratori ma
anche
i terzi che per qualsiasi motivo si trovino “sul luogo di lavoro”.
In dottrina, la tesi dominante sembra escludere una interpretazione così
estensiva anche se non manca chi propende per la stessa.
La giurisprudenza ha, invece, reiteratamente affermato che le norme
antinfortunistiche siano poste a tutela sia dei lavoratori, sia di chiunque sia
presente
anche occasionalmente sul luogo di lavoro. Secondo tale orientamento, le norme
antinfortunistiche non sono dettate soltanto per la tutela dei lavoratori, ossia
per
eliminare il rischio che i lavoratori (e solo i lavoratori) possano subire danni
nell’esercizio della loro attività, ma sono dettate anche a tutela dei terzi,
cioè di tutti
coloro che, per una qualsiasi legittima ragione, accedono agli ambienti
destinati
all’attività lavorativa ovvero ai cantieri o comunque in luoghi ove vi sono
macchinari e/o attrezzature che, se non munite dei presidi antinfortunistici
voluti
dalla legge, possono essere causa di eventi dannosi.
Le disposizioni prevenzionali sono quindi da considerare emanate nell’interesse
di
tutti, finanche degli estranei al rapporto di lavoro, occasionalmente presenti
nel
medesimo ambiente lavorativo, a prescindere, quindi, da un rapporto di
dipendenza diretta con il titolare dell’impresa, purché, la loro presenza nel
luogo e
nel momento dell’infortunio non abbia tali caratteri di anormalità, atipicità ed
eccezionalità. Ciò per evitare che un evento dannoso possa verificarsi a causa
dell’omessa adozione di misure e accorgimenti imposti ai fini della più efficace
tutela dell’integrità fisica del lavoratore. Tale principio cautelare ha,
secondo la
Cassazione, una valenza generale e inderogabile, tale da imporsi nell’interesse
di
tutti, finanche degli estranei al rapporto di lavoro.
Talvolta, la giurisprudenza ha precisato che le norme antinfortunistiche sono
poste
a tutela non di qualsiasi terzo, ma di coloro che versino in una situazione
analoga
a quella dei lavoratori e che si trovino sul luogo di lavoro per una qualsiasi
ragione
a questo connessa.
Secondo alcuni, il dovere di cura che incombe sul prestatore di lavoro deve
comunque essere contenuto entro i limiti della normalità.
Tratto
da L’individuazione e le responsabilità del lavoratore in materia di
sicurezza sul lavoro di Mariantonietta Martinelli I WORKING PAPERS DI
OLYMPUS – 37/2014
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